La centrale nucleare di Chernobyl è situata
circa 18 km a nord-ovest della città di Chernobyl; circa 110 km a nord della
città di Kiev, capitale dell'Ucraina; dista circa 16 km dal confine con la Bielorussia.
La città ucraina di Pripyat, che dista appena circa
3 Km dalla centrale, prende il nome dall'affluente del fiume Dnepr che scorre, nell'ultimo tratto,
vicinissimo a Chernobyl. Sebbene la dicitura corrente sia stata, e sia ancora, "centrale di Chernobyl",
deve essere chiaro fin d'ora come la città di Pripyat sorgesse molto vicina alla centrale,
assai più vicina rispetto alla città di Chernobyl stessa.
"Chernobyl è il nome della catastrofe, Pripyat ne è il simbolo più visibile...".

Chernobyl è la città ucraina divenuta tristemente famosa nel 1986
in seguito al più grave incidente nucleare che la Storia ricordi e
che vide protagonista proprio la Centrale
(Nuclear Power Plant, spesso
abbreviato NPP) situata a
neppure 20 chilometri da Chernobyl stessa.
I dettagli relativi alle cause, alle responsabilità e alle
conseguenze del disastro sono, incredibilmente, ancora oggi in gran
parte oggetto di discussione. Quel che si sa per certo, tuttavia,
è che l'incidente avvenne nel corso, e in qualche modo a seguito, di un
"test di sicurezza" durante
il quale qualcosa andò storto, provocando un repentino aumento di potenza
e di temperature all'interno del reattore n°4 della centrale. L'evento
provocò la scissione dell'acqua di raffreddamento e l'accumulo di idrogeno
a così alte pressioni da causare un severo danno alle strutture di
contenimento e la conseguente fuoriuscita di idrogeno e di grafite incandescente,
sostanze implicate nel funzionamento del reattore o derivanti dalla sua
attività: a contatto con l'aria, esse innescarono una
violenta esplosione che scoperchiò
letteralmente il reattore. Dal varco così creatosi scaturì una densa nube
di materiali radioattivi che ricadde successivamente su un'ampia area
intorno alla centrale, contaminando l'ambiente e spingendosi, veicolata
dalle correnti e dai venti, fino all'Europa orientale, alla Scandinavia e forse anche oltre.
Flora, fauna e popolazione furono colpiti dalle radiazioni o vennero
direttamente in contatto col materiale radioattivo. Come ho accennato
implicitamente all'inzio, non sembra esistere un bilancio oggettivo,
effettivo e documentabile dell'impatto socio-ecologico, in quanto le stime e i numeri tendono
a variare, anche notevolmente, a seconda della fonte che li diffonde: si
va da circa trenta unità a varie centinaia di migliaia di individui, in aumento.
Almeno inizialmente, anche la flora e la fauna subirono danni rilevanti ma,
a distanza di anni dall'incidente, sembrerebbe quasi che l'abbandono
dell'Uomo abbia giovato alla Zona più di quanto le radiazioni abbiano pesato
(e questo la dice lunga su come stiamo trattando questo pianeta...).
Ciononostante, l'area toccata più da vicino dalle radiazioni e dal materiale
radioattivo rimane un limbo off-limits per gli esseri umani e la vicenda di
Chernobyl rappresenta ancora oggi il più grave disastro nucleare civile che
la Storia ricordi.

Quella di Chernobyl era una "centrale termoelettronucleare".
Già il termine la dice lunga: termo-elettro-nuclare ha a che fare con
l'energia termica, l'energia elettrica e l'energia nucleare! Le centrali
termoelettronucleari sfruttano infatti l'energia nucleare (-"nucleare")
per fornire energia elettrica (-"elettro") attraverso la produzione di
energia termica ("termo"-), cioè calore:
il calore scaturisce direttamente da reazioni nucleari di fissione ed è
successivamente scambiato con una sostanza refrigerante (per lo più acqua)
che acquisisce così energia termica (se è acqua si trasforma in vapore
a temperatura e pressione elevate) e, in virtù della propria energia, diventa
capace di muovere delle turbine; il moto delle turbine è connesso ad un
alternatore che origina corrente elettrica, la quale viene infine messa
ad alimentare una rete elettrica.
Cominciamo a fissare un primo concetto:
una centrale "nucleare" differisce dalle centrali "geotermiche"
(a gas o ad olio combustibile) quasi esclusivamente per il generatore
di calore che, in questo caso, si basa
sul processo di fissione nucleare piuttosto che
su altre reazioni chimico-fisiche.
Il
calore è energia (termica) che
si trasmette da un mezzo a un altro in virtù di una differenza di temperatura.
L'energia nucleare da fissione viene prodotta facendo scontrare un neutrone con
un nucleo di atomo di uranio: in seguito allo
scontro, vengono rilasciate enormi quantità di energia ed emessi nuovi neutroni
che urteranno a loro volta altri nuclei di uranio, provocando nuove fissioni in un numero via
via crescente e dando così luogo ad una "reazione a catena". Se una reazione
a catena per fissione di questo tipo non viene
controllata, si hanno gli stessi effetti prodotti da una bomba atomica; se invece
la reazione a catena per fissione viene controllata usando i cosiddetti
"reattori nucleari" la si può sfruttare per produrre energia.
Il reattore nucleare è il cuore pulsante di
una centrale nucleare e, nel processo di fissione, genera energia nucleare: la
reazione a catena per fissione avviene nel cosiddetto
nocciolo, zona situata nella parte centrale
del reattore stesso e nella quale si sviluppa e si mantiene la razione a catena
al fine di produrre energia con continuità.
Il nocciolo contiene di solito uranio
(il materiale "combustibile"); le reazioni sono favorite da un
moderatore e rallentate/fermate da apposite
barre di controllo. Il moderatore si rende
necessario perchè è prevalentemente soggetto a fissione solo uno degli
isotopi rari che compongono l’uranio naturale,
l’isotopo uranio-235, presente nell’uranio naturale
solo per lo 0,7% circa (il resto è prevalentemente
uranio-238, un altro isotopo dell'uranio ma
molto meno attivo rispetto al 235).
L'isotopo è un
atomo di uno stesso elemento chimico, e quindi con lo stesso "numero
atomico", ma con differente "numero di massa", e quindi "massa
atomica". La differenza delle masse è dovuta a un diverso numero di neutroni
presenti nel nucleo dell'atomo. Se due nuclei contengono lo stesso numero di
protoni, ma un numero differente di neutroni, i due nuclei avranno praticamente
lo stesso comportamento chimico ma comportamenti fisici differenti, essendo
l'uno significativamente più pesante dell'altro.
Nella figura qui a sinistra sono illustrati schematicamente la struttura e il
funzionamento di un generico reattore nucleare a fissione. Il
"nucleo combustibile" rappresenta
il nocciolo, che contiene la sorgente di energia su cui urteranno i neutroni:
è un materiale fissile normalmente rappresentato da un "mix" di
uranio-235 e di uranio-238 il quale, producendo a sua volta neutroni,
emette energia sotto forma di calore; questo calore è asportato da un
"fluido diatermico" che funge
da refrigerante, ad esempio acqua, e lo trasporta fino ad un
"utilizzatore"; questo, nella
maggior parte dei casi, è un gruppo turbo-alternatore per la produzione di
energia elettrica; il "moderatore",
solitamente grafite o acqua leggera, rallenta ("modera") la velocità dei neutroni in modo
da ottimizzare il bombardamento dell'uranio;
le "barre di controllo" sono barre
metalliche (in genere leghe di argento, cadmio e indio oppure carburi di boro) atte
ad assorbire neutroni, ovviamente senza emetterne a loro volta: possono essere
inserite nel nocciolo e servono per tenere sotto controllo, ed eventualmente
arrestare, la reazione a catena di fissione. Per poter sostenere la reazione a
catena occorre quindi o aumentare la concentrazione del più attivo uranio-235
(processo noto come "arricchimento dell'uranio")
oppure creare le condizioni per cui il processo di fissione avvenga ugualmente
con la massima frequenza: per le sue proprietà nucleari, la frequenza delle
fissioni dell’uranio-235 aumenta enormemente se l’energia dei neutroni incidenti
(energia termica) è la minima possibile.
Ecco allora il ruolo del moderatore: esso è una sostanza che
rallenta i neutroni emessi nelle fissioni,
in modo che la loro energia sia la minima possibile compatibilmente col loro ruolo
di "bombardieri"! I moderatori attualmente disponibili, e che è possibile
impiegare come tali, sono in pratica idrogeno (acqua), deuterio (acqua pesante)
e carbonio (grafite). I reattori con
moderatore a grafite, come quelli presenti nella centrale di Chernobyl, sono quelli
costruibili più facilmente ed economicamente, dato che è possibile produrre grafite
purissima con procedimenti non molto costosi e si può usare uranio naturale, o comunque
poco arricchito, poiché il moderatore carbonio non ha il potere di assorbire neutroni.
Attorno al nocciolo è situato un sistema di tubi contenenti
acqua, che viene riscaldata dal calore emesso
dalle reazioni a catena: l'acqua rappresenta quindi un sistema di estrazione del
calore dal nocciolo, cioè il "sistema refrigerante". Il calore estratto
trasforma l'acqua in vapore ed esso fa ruotare delle turbine che, se collegate
ad un alternatore, producono energia elettrica.
Poiché i neutroni, l'uranio e i prodotti (gli ultimi ma anche gli intermedi) della
fissione sono radioattivi e, quindi,
estremamente pericolosi, il reattore nucleare è di norma racchiuso in contenitori
di acciaio e piombo, a loro volta situati in robusti edifici di cemento armato.
La sigla RBMK sta per
"Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalny"
("reattore di grande potenza a canali") e descrive una classe di
reattori nucleari che furono prodotti solamente in Unione Sovietica.
Questi reattori funzionavano ad uranio,
avevano la grafite come moderatore e
utilizzavano l'acqua leggera per il
raffreddamento (moderatore e refrigerante erano dunque diversi). Usando
acqua leggera, cioè "normale", per il raffreddamento e grafite
come moderatore, i reattori RBMK rendevano possibile l'utilizzo di
uranio naturale come combustibile ed escludevano la necessità di impiegare
acqua pesante come moderatore: le risorse economiche per far funzionare
questo reattore erano quindi decisamente inferiori rispetto ad altri modelli.
L'acqua leggera è
l'acqua come la conosciamo tutti: il normale fluido incolore e inodore che beviamo,
con cui ci laviamo, nel quale nuotiamo. E' una sostanza la cui molecola di base è costituita
da due atomi di idrogeno legati a uno di ossigeno: H2O.
L'acqua pesante è invece acqua che, al posto del normale idrogeno, ha due atomi
di deuterio, il quale è un isotopo pesante dell'idrogeno.
Nelle centrali nucleari a fissione, l'acqua pesante può assumere importanza: sebbene,
in qualità di moderatore, essa sia in grado di rallentare i neutroni veloci emessi al
momento della fissione meno di quanto sia in grado di fare l'acqua leggera, ha anche
una minore capacità di assorbire ("catturare", "sequestrare") neutroni
rispetto a quest'ultima.
In altri tipi di reattore, in cui il moderatore e il refrigerante coincidono, quando si
perde l'acqua di raffreddamento le reazioni nucleari a catena diminuiscono perché i
neutroni non vengono più rallentati (in questo caso le barre di controllo rappresentano
un secondo e ulteriore sistema di sicurezza); quando il moderatore è la grafite e si
perde l'acqua leggera di raffreddamento, invece, i neutroni continuano ad essere
rallentati dalla grafite e le reazioni a catena proseguono indisturbate! Grafite e acqua
leggera, nei reattori tipo l'RBMK, svolgono due ruoli completamente diversi e separati:
l'acqua serve a raffreddare e, quindi, a "contenere" la reazione a catena ma la
reazione stessa avviene grazie alla grafite. Se l'azione dell'acqua viene meno, la
reazione nucleare prosegue indisturbata, senza però il ruolo "di contenimento"
del refrigerante. In questo caso diventa assolutamente decisivo
l'inserimento rapido delle barre di controllo che, assorbendo neutroni, rappresentano
quindi un sistema di controllo di prima linea. Il problema è che l'inserimento
delle barre (la cui velocità è comunque molto bassa: circa 20 secondi laddove, in altri tipi
di reattore, i tempi richiesti sono circa 1/10) dipende dalla fornitura elettrica
e la perdita improvvisa di acqua può causare un vero e proprio black-out
nella rete elettrica;
di conseguenza, diventa indispensabile poter disporre di un secondo sistema
elettrico di emergenza che controlli separatamente ogni gruppo di barre
di controllo (da 30 a 36 barre per ciascun gruppo) e che sia indipendente dalla
fornitura elettrica del generatore stesso.
Inoltre gli RBMK non hanno "barre di emergenza
ad inserimento rapido" e le barre di controllo, costituite di
carburo di boro, hanno all'estremità una punta in carbonio che, nella fase
iniziale di inserzione delle barre, aggiunge reattività, invece di diminuirla!
Il carburo di
boro (B4C) è una di quelle sostanze dotate della
proprietà di assorbire neutroni e, quindi, può essere sfruttata per
rallentare/fermare le reazioni di fissione all'interno di un reattore nucleare.
Agisce, concettualmente, alla stessa maniera del moderatore ma "di più":
tanto da poter bloccare le reazioni e arrestare il reattore.
Anticipo fin d'ora come la grafite del moderatore abbia la proprietà di
infiammarsi all'aria libera con la conseguenza di rendere facile la dispersione
nell'atmosfera delle sostanze radioattive che sono a suo contatto. Questo dovrebbe
già spingerci a intuire almeno parte della natura del disastro ecologico
conseguente all'incidente del 1986.
Un'occhiata più attenta al reattore n°4
I reattori della NPP di Chernobyl erano modelli RBMK-1000,
cioè sviluppavano una potenza pari a 1000 MW elettrici (circa 3,2 GW termici).
Il
Watt (W) è l'unità di misura della
"potenza". Può misurare la potenza elettrica, e allora si parla
di Watt elettrici (We), e può misurare la potenza termica, e allora si
parla di Watt termici (Wt).
1.000.000 di W sono un megawatt (MW); 1.000.000.000 di W sono un gigawatt
(GW) e sono anche 1000 MW.
Le centrali nucleari hanno una efficienza di conversione del calore in
energia elettrica (rendimento termodinamico) piuttosto bassa: solo il
30-35% della potenza termica sviluppata dai reattori è convertita in
elettricità, per cui una centrale da 1000 MWe ha in genere una produzione
di calore pari a 3000-3500 MWt.
La più importante caratteristica tecnica di questo reattore, in quanto
di tipo RBMK, era di possedere una grande
instabilità a basse potenze.
Se
la potenza aumentava o il flusso dell'acqua diminuiva si verificavano: A)
un aumento di produzione del vapore
nei canali in cui era contenuto il combustibile, cosicché i neutroni
assorbiti dall'acqua più densa originavano un numero maggiore di fissioni
nel combustibile; B) un aumento della temperatura
del combustibile, cosicché diminuiva il flusso di neutroni e
quindi il numero di fissioni tendeva a diminuire.
L'effetto complessivo di queste due opposte caratteristiche variava con
il livello di potenza: operando normalmente ad alta potenza, predominava
l'effetto temperatura, di modo che non avevano luogo escursioni di potenza
per eccessivo surriscaldamento, ma a potenze più basse (a meno del 20% di
quella massima), l'instabilità era dominante ed il reattore diventava
propenso ad improvvisi sbalzi di potenza...
Cerchiamo di capire cause e implicazioni di questa instabilità alle basse
potenze: essa è dovuta in gran parte alla positività del
coefficiente di vuoto degli RBMK.
Il "coefficiente di vuoto" è un indice usato per stimare quanto
cambia la reattività di un reattore nucleare quando si ha una variazione
(positiva o negativa) del grado di vuoto
(rapporto tra il volume occupato dal vapore rispetto al volume totale
occupato dalla miscela liquido/vapore), a causa della formazione di vapore
nel moderatore e/o nel refrigerante oppure per il collasso delle bolle di
vapore stesso.
Il vapore è acqua allo stato gassoso e ricordo che in un reattore RBMK
l'acqua funge solamente da termovettore.
Valori positivi del coefficiente di vuoto indicano un aumento della reattività,
valori negativi una diminuzione della reattività, mentre un valore nullo indica
che la reattività non dipende dal grado di vuoto del moderatore/termovettore
all'interno del reattore. La quantità di vapore presente nel liquido di
raffreddamento e la reazione nucleare a catena sono quindi
proporzionali (aumentando l'una, aumenta
anche l'altra). Questo significa che le bolle di vapore, che si formano nell'acqua
usata come refrigerante, incrementano la reazione nucleare e, come ho accennato,
alle basse potenze il coefficiente positivo di vuoto non è compensato da altri
fattori, rendendo il reattore instabile e pericoloso in tali condizioni.
All'epoca
dell'incidente, il reattore RBMK presentava poi un difetto nelle barre di
controllo (oggi corretto). Normalmente, inserendo le barre di controllo nel
reattore si riduce la reazione nucleare. Nel reattore RBMK le barre di controllo
terminano con gli "estensori" (la porzione finale, lunga circa 1 metro)
in grafite, mentre la parte funzionale, che riduce la reazione assorbendo
neutroni, è in boro carbonato. Questo significa che quando si inseriscono
le barre, gli estensori rimpiazzano l'acqua refrigerante (che assorbe neutroni)
con la grafite (che fa da moderatore di neutroni) e quindi paradossalmente, per
i primi secondi, si ottiene un incremento della reazione anziché una
sua diminuzione!
Le grandi dimensioni del nocciolo del reattore erano causa, inoltre, d'instabilità
locale della potenza dovuta alla produzione di xeno,
un gas che assorbe neutroni: ne parlerò più in dettaglio fra pochissimo. L'RBMK
richiedeva pertanto un efficiente controllo "a zone" realizzato mediante un
sistema computerizzato automatico che era parte integrante dell'impianto di sicurezza
del reattore. L'impiego di alcuni materiali adottati per il funzionamento del RBMK
rimane comunque discutibile: il coefficiente di vuoto positivo, in aggiunta a un
refrigerante che assorbe neutroni come l'acqua e a un moderatore solido come la
grafite erano caratteristiche che, in determinate condizioni, avrebbero potuto
rendere fortemente instabile il reattore. Utilizzare grafite e acqua leggera
permetteva però di aumentare l'efficienza del sistema, migliorando l'impiego dei
neutroni e facilitando così la produzione di plutonio-239. I rischi erano noti
ai progettisti (ma sembra che non fossero stati comunicati ai tecnici né resi
pubblici prima del disastro) ma per eliminarli si sarebbe dovuto rinunciare alla
possibilità di impiegare l'uranio naturale, non arricchito, con
costi di esercizio significativamente maggiori.

Prima di passare alla trattazione vera e propria di quel che accadde nella centrale
di Chernobyl il 26 aprile del 1986 mi sembra utile focalizzare l'attenzione su alcuni
dettagli, alla luce di quanto detto fino ad ora, che torneranno utili come base per
comprendere meglio le dinamiche di determinati eventi.
Anzitutto, una precisazione sulla natura dell'esplosione
che coinvolse il reattore n°4: contrariamente a quanto si possa erroneamente pensare,
non si trattò di un'esplosione di tipo nucleare (non si verificò un'incontrollata
reazione a catena come avviene in seguito all'impiego di armi nucleari o come
accadde a Hiroshima, tanto per capirci) bensì di tipo chimico-fisico, i cui
"ingredienti" furono le sostanze chimiche presenti nel reattore (essenzialmente
acqua e metalli) attivate dall'innalzamento di temperatura e pressione. Fu
l'elevatissima temperatura a causare il surriscaldamento del nocciolo e a far
raggiungere alla pressione di vapore dell'impianto di raffreddamento livelli
esplosivi. Il danno ecologico del disastro non fu/è dovuto alle radiazioni emesse
da un'esplosione nucleare bensì dalle radiazioni emesse da sostanze radioattive
trasportate dalle correnti e dal vento, assorbite dal terreno o veicolate nell'acqua dei fiumi.
Il reattore n°4, paradossalmente, era il
più "giovane" dei quattro presenti nella Centrale e fu fabbricato nel 1983:
la costruzione dell'impianto iniziò negli anni Settanta, il reattore n°1 fu consegnato
nel 1977 e fu seguito dai reattori 2 (1978) e 3 (1981). Altri due reattori (il 5 e il
6, da 1 GW ciascuno) erano in fase di costruzione quando si verificò l'incidente.
Tutti i reattori condividevano la stessa architettura di base, essendo di tipo RBMK:
reattori a canali, moderati a grafite e raffreddati ad acqua. Contrariamente a quanto
sostennero terze parti, nessuno degli altri reattori della centrale fu coinvolto
nell'incidente del 1986, né direttamente né indirettamente.
L'isotopo 239 del plutonio è il prodotto fissile
fondamentale per la maggior parte delle armi nucleari: la sua produzione è da sempre
importante per le nazioni in possesso di un arsenale nucleare e per quelle aventi
programmi di sviluppo del nucleare militare (l'interesse dell'ex U.R.S.S. per le
armi nucleari durante la Guerra Fredda è ormai di dominio pubblico ed esistono voci,
ovviamente non confermate, che centrali nucleari come quella di Chernobyl non
servissero esclusivamente a produrre energia elettrica...). Il plutonio-239 viene
normalmente prodotto nei reattori nucleari esponendo a un flusso di neutroni l'uranio-238.
Questo, acquisendo un neutrone, si trasforma in uranio-239 che, attraverso altri passaggi,
si trasforma infine in plutonio-239. Al termine dell'esposizione, il plutonio-239 così
formatosi risulta mescolato ad una ingente residua quantità di uranio-238 e a tracce
di altri isotopi dell'uranio stesso, nonché di eventuali altri prodotti di fissione
(viene quindi purificato per via chimica). Il plutonio 239 ha un tempo di dimezzamento
(emivita) di oltre 24.000 anni e un tempo di completa neutralizzazione di circa 10 volte tanto.
Il sistema RBMK era considerato vantaggioso dal punto di vista economico (e, di fatto,
lo era) perchè, utilizzando grafite come moderatore, poteva sfruttare
l'uranio naturale per fornire una buona resa: la
grafite non assorbe neutroni. L'uranio naturale è composto da una miscela di tre
isotopi, il 234, il 235, e il 238, di cui quest'ultimo è il più abbondante (circa
99,3%). L'uranio 238, tuttavia, ha una predisposizione a interagire con i neutroni
molto inferiore rispetto all'isotopo 235 e questo è il motivo per cui oggi si tende
a preferire l'impiego di "uranio arricchito", cioè di uranio che contenga più
alte percentuali di isotopo 235.
Dopo l'incidente di Chernobyl tutti i reattori RBMK rimanenti sono stati
opportunamente migliorati: hanno lavorato con
un numero ridotto di elementi di combustibile e contenenti uranio maggiormente
arricchito, permettendo quindi una operatività relativamente sicura ma con costi
decisamente più elevati. I sistemi di controllo sono stati ugualmente migliorati,
in particolare eliminando i terminali di grafite dalle barre di controllo e ovviando
così all'immediato aumento di potenza che si verificava al momento dell'inizio
dell'inserimento. Questa particolarità, come vedremo, è una delle cause dell'incidente
di Chernobyl, quando le barre di controllo vennero inserite nell'estremo tentativo di
fermare l'impianto.
Quando si ferma un reattore che abbia prodotti di fissione nelle barre di combustibile
del nocciolo, nasce un problema molto grave in vari reattori, problema noto come
"avvelenamento da xeno". Lo xeno-135 è
un normale di fissione dell'uranio-235: quando quest'ultimo viene colpito da un
neutrone, tra le possibili reazioni vi è quella che origina lo iodio-135 che in poco
più di 6 ore e mezza decade in xeno-135; dopo poco più di 9 ore si ottiene poi cesio-135.
Lo xeno-135 è un forte assorbitore di neutroni (la probabilità che un nucleo di xenon-135
catturi un neutrone è circa 4000 volte maggiore di quella relativa ad un neutrone che
vada a produrre una nuova fissione urtando l'uranio!) e questa sua proprietà tenderebbe
quindi a bloccare la reazione a catena. Normalmente questo non rappresenta un problema
perchè, in un reattore che funziona a pieno ritmo, ulteriori neutroni distruggono
rapidamente lo xeno che, addirittura, non fa neppure in tempo a decadere. Tuttavia, se
il reattore si ferma, allora lo xeno tende ad accumularsi e ha luogo questo processo
di "avvelenamento" che dura alcune decine di ore, finché non decade tutto lo xeno stesso.
A dispetto delle sue debolezze tecniche, il reattore RBMK era dotato, già prima del 1986,
di un sistema di sicurezza automatico di buon livello
nel suo insieme. In particolare i sistemi di controllo che segnalavano eventuali situazioni
di rischio intervenivano automaticamente a spegnere il reattore in caso di necessità
anche solo sospetta. Il problema è che a Chernobyl questi sistemi vennero deliberatamente
disattivati affinché il "test di controllo" continuasse e, di conseguenza, non
poterono salvare l’impianto.
Il reattore RBMK era diviso in due sezioni, ciascuna delle quali collegata ad
un turbogeneratore. Il sistema di refrigerazione è
complessivamente costituito da due circuiti indipendenti ognuno in grado di raffreddare
una metà del nocciolo grazie a una serie di pompe preposte. L'RBMK era anche dotato di
un sistema di raffreddamento d'emergenza ma non di un sistema di contenimento vero e
proprio bensì di un "sistema di confinamento compartimentato": si trattava in
pratica di una serie di ambienti che circondano il reattore e dentro i quali si sarebbe
(teoricamente!) dovuta espandere la radioattività che l'incidente massimo (teorico!)
previsto nel progetto avrebbe rilasciato.

Difficile pronunciarsi in modo oggettivo sulle effettive responsabilità del disastro:
di sicuro sono chiamati in causa imponderati errori umani, consapevoli violazioni
delle norme di sicurezza, debolezze tecnologico-strutturali del reattore e una forte
carenza di dialogo a più livelli, in generale per motivi politici ed economici.
Come ho accennato inizialmente, l'incidente si verificò durante una "prova
di sicurezza" finalizzata a verificare se la turbina accoppiata all'alternatore
potesse continuare a produrre abbastanza energia elettrica sfruttando l'inerzia del
gruppo turbo-alternatore anche quando il circuito di raffreddamento non producesse
più vapore. Mentre in un primo momento la responsabilità dell'incidente fu attribuita
quasi completamente agli operatori dell'impianto,
per gli errori commessi e le violazioni delle norme di sicurezza, nel 1991 fu diffusa
una seconda ipotesi, che chiamava in causa anche e soprattutto le
debolezze strutturali del reattore RBMK, con
particolare riferimento alla progettazione delle barre di controllo.
Probabilmente nessuna delle due versioni è in grado di valutare oggettivamente le
percentuali di responsabilità nei vari ambiti del disastro ed è verosimile congetturare
una serie di co-responsabilità da ripartire in modo proporzionale. Dei limiti tecnologici
del reattore e dei rischi intrinseci ai materiali utilizzati abbiamo già parlato;
le carenze di dialogo e trasparenza fra progettisti, tecnici e terze parti sembrano già
evidenti e lo diventeranno ulteriormente fra poco; a questo si aggiunga che il personale
addetto alla gestione dell'impianto non sembra fosse sufficientemente qualificato per far
fronte a situazioni di emergenza o fuori dagli schemi: se da un lato gli operatori della
centrale non erano a conoscenza dei problemi tecnici del reattore, dall'altro il direttore
dell'impianto, Viktor Bryukhanov, aveva esperienza
di impianti a carbone;
il capo ingegnere, Nikolai Fomin, proveniva da impianti
convenzionali; Anatoliy Dyatlov, capo ingegnere dei
reattori 3 e 4, aveva solo una limitata esperienza con reattori nucleari e per lo più su
piccoli esemplari di reattori VVER (altra tipologia rispetto agli RBMK). In particolare,
il comportamento "contro-intuitivo" delle barre di controllo era ignoto agli
operatori della centrale. Tutto questo potrebbe in qualche modo giustificare, almeno in
parte, alcuni comportamenti discutibili; ce ne sono altri, tuttavia, chea mio parere rimangono gravi.
Gli operatori
commisero diverse violazioni delle procedure e questo, insieme alla scarsa comunicazione
tra gli addetti alla sicurezza e gli operatori che dovevano condurre l'esperimento,
contribuì di sicuro all'incidente. In particolare, gli operatori
disattivarono i sistemi di sicurezza automatici
del reattore, operazione proibita dai manuali operativi dell'impianto. Secondo il
rapporto dell'agosto 1986 della commissione governativa, gli operatori estrassero
completamente dal nocciolo almeno 204 barre di controllo delle 211 presenti,
lasciandone inserite solo 7. Anche questa condizione è vietata dai manuali operativi,
che pongono a 30 il numero minimo assoluto di barre nel reattore RBMK in funzione.
Resta da considerare, inoltre, che nel 1982 il reattore n°1, a causa di manovre
errate effettuate dal personale tecnico, subì la distruzione del proprio elemento
centrale. L'esplosione, seppur infinitamente più piccola di quella che coinvolse
l'unità n°4 nel 1986, provocò il rilascio di radiazioni nell'atmosfera ma il fatto
non è mai stato reso pubblico prima dell'incidente del 1986. Soprattutto, e cosa forse
ancor più grave, non furono prese alcune misure di sicurezza e l'impianto non fu in
alcun modo migliorato per far fronte a futuri ed eventuali altri problemi.
L'incertezza e la confusione che aleggiano intorno ai dati disponibili sulle cause
e sulle responsabilità del disastro sono stati evidenziati anche dalle conclusioni
dell'IAEA (International Atomic
Energy Agency, Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica).
Essa ha rivisto l'analisi dell'incidente attribuendo la causa principale al progetto
del reattore, come suggerito nel 1991 anche grazie ai contributi di Valeri
Legasov, e non agli operatori. Nel 1986 la stessa Agenzia aveva indicato invece
negli operatori la causa principale dell'incidente. Forse, però, non si tratta solo di
incertezza e confusione: ad esempio, sembra che all'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS)
sia legalmente vietato diffondere informazioni che possano danneggiare l'immagine dell'IAEA. Come
risultato, sempre per fare un esempio, l'OMS non può che sottoscrivere le posizioni dell'IAEA
quando questa attribuisce l'aumento di numerose patologie tumorali in determinate aree
geografiche allo "stress" piuttosto che ad altri fattori.

Per il 25 aprile 1986 era stato programmato lo spegnimento del reattore n°4 per le normali
operazioni di manutenzione. Se ne approfittò per eseguire un test finalizzato a valutare
la capacità delle turbine di generare elettricità sufficiente per alimentare i sistemi
di sicurezza anche in assenza della rete elettrica. In particolare, l'energia prodotta
dal momento inerziale delle turbine sarebbe servita ad alimentare le pompe dell'acqua
refrigerante del reattore qualora fosse improvvisamente venuta a mancare l'alimentazione
elettrica esterna.
I reattori come quelli di Chernobyl avevano ciascuno due generatori diesel
di emergenza installati proprio a questo scopo ma essi non erano attivabili istantaneamente:
il test serviva quindi per valutare se fosse possibile sfruttare il momento d'inerzia residuo
nelle turbine ancora in rotazione, ma disconnesse dal reattore, per alimentare le pompe per il tempo
necessario all'avvio dei generatori diesel.
In parole povere, le pompe dell'acqua refrigerante funzionavano a elettricità. La rete elettrica
che le faceva funzionare normalmente era quella esterna ma, se l'energia proveniente da questa
rete fosse venuta a mancare a causa di un improvviso black-out, le pompe dell'acqua refrigerante
si sarebbero bloccate (un grosso guaio!).
Per ovviare al problema erano stati installati due generatori ausiliari a gasolio, che
sarebbero entrati in funzione per sostituire la rete elettrica principale. La loro
accensione, però, richiedeva tempo e ci si chiedeva se, durante questo tempo, l'energia
prodotta dal movimento inerziale delle turbine fosse sufficiente a mantenere attive
le pompe dell'acqua refrigerante. Si noti come il test fosse già stato condotto, in
precedenza, su un altro reattore (ma con tutti i sistemi di sicurezza attivi!) ed avesse
dato esito negativo: l'energia elettrica prodotta dall'inerzia delle turbine era
risultata insufficiente ad alimentare le pompe intanto che i generatori diesel entravano
in funzione. Erano state apportate quindi delle migliorie alle turbine, che richiedevano un
nuovo test di verifica.
Introduzione all'esperimento
Alle 01:05 di venerdì 25 aprile iniziò la
diminuzione della potenza verso lo spegnimento dell’impianto ed alle
14:00 circa la potenza era scesa a 1600 MW
termici. In queste condizioni i sistemi di sicurezza automatici avrebbero normalmente
interpretato il calo di potenza come dovuto a un black-out elettrico o ad un qualche
altro tipo di anomalia ed avrebbero attivato immediatamente i generatori diesel in
grado di attivare il sistema di raffreddamento d'emergenza, il che avrebbe interferito
con la prova.
Fu allora
deciso di isolare il turbogeneratore dai suoi sistemi di sicurezza automatici di
emergenza.
Il reattore rimase operativo al 50% fino alle 23:00
circa per fornire energia alla rete e l'esperimento subì quindi un forte ritardo
a causa di un guasto sulla rete elettrica civile che comportò una richiesta dalla regione di
Kiev di attendere per ridurre ulteriormente la fornitura di energia. Alle
23:10 si riprese a diminuire la potenza
per raggiungere un valore fra 700 MW termici (il minimo permesso dalle norme
di sicurezza) e 1000 MW termici (la potenza ideale per l’esperimento): l'esperimento
subì quindi un complessivo ritardo di circa 9 ore sulla tabella teorica di marcia prima di
avere finalmente inizio.
Probabilmente
a causa di una cattiva taratura degli strumenti ma in ogni caso per un
errore involontario degli operatori, le barre di
controllo, la cui progressiva inserzione stava facendo diminuire la potenza del
reattore come da programma, scesero più del previsto e la potenza del reattore
precipitò improvvisamente a circa 30 MW termici, valori di potenza bassissimi.
Prossima allo spegnimento, la turbina era però ancora accesa: lavorava a potenza
minima e forniva circa 10 MW elettrici, inferiori ad alimentare le pompe del
sistema di refrigerazione, quindi la mossa corretta a questo punto sarebbe stata sospendere
la prova e rimettere in funzione i dispositivi di emergenza. Gli operatori confidarono
però di poter elevare la potenza ai valori previsti chiudendo anche i regolatori
automatici preposti all'azione delle barre e passando tutte le barre di controllo ad
operazioni manuali. Era mezzanotte e l'idea fu pessima.
Gli operatori
procedettero quindi eliminando tutti i regolatori
automatici delle barre ed estraendo manualmente le
barre di controllo una a una fino al limite di sicurezza di 30 barre ma
riuscirono a stabilizzare il sistema solo all’1:00, dopo che furono rimosse ancora 22
barre di sicurezza, e ad appena 200 MW termici: in queste condizioni, per bloccare un
eventuale eccessivo innalzamento di potenza con un arresto di emergenza rapido occorrono
nell'RBMK circa 20 secondi!
A causa del vorace assorbimento di neutroni da parte dello xeno prodotto, non
c'era possibilità di aumentare ulteriormente la potenza ma sembra che gli
operatori non ne fossero a conoscenza oppure che abbiano tentato ugualmente: in
un primo momento, alle 01.07, fu
aumentato il flusso di acqua refrigerante mettendo
in funzione la pompa principale collegata alla rete elettrica principale,
operazione vietata dalle normative di sicurezza. L'aumento del flusso dell'acqua provocò,
in particolare, una caduta della pressione del vapore.
A questo punto, per aumentare la potenza gli operatori estrassero quasi tutte le barre
di controllo che restavano, tentarono di fare aggiustamenti manuali ogni pochi secondi
per mantenerla costante e, probabilmente al fine di mantenere costante la pressione
del vapore, ridussero infine il flusso dell'alimentazione di
acqua. Erano le 01.22.30: le condizioni
apparivano sufficientemente adeguate allo svolgimento del test, che iniziò.
Il test e oltre...
Alle 01:23:04 fu scollegata la turbina dal vapore
che l'alimentava e quindi il turbogeneratore, non più alimentato, iniziò a rallentare:
come ho accennato, ci si proponeva di verificare se il suo moto per inerzia fosse in
grado di fornire abbastanza energia da alimentare le pompe per il raffreddamento
dell'acqua del nocciolo. Al rallentamento della turbina corrispose una diminuzione
del flusso dell'acqua in circolo e, quindi, un permanere del vapore nel nucleo,
all'interno del quale formò rapidamente delle bolle. La potenza del reattore
cominciò poi a crescere piano piano poiché le bolle di vapore non sono refrigeranti
e il combustibile iniziò a surriscaldarsi.
Fu un breve e rapido susseguirsi di bolle che crescevano, temperatura del nocciolo
che aumentava, pressione del vapore che saliva e flusso totale dell'acqua di
refrigerazione che diminuiva perchè le pompe che la facevano circolare erano ormai
decisamente sottoalimentate. A questo si affianca l'effetto della distruzione
dello xeno e quindi un ulteriore aumento della potenza del reattore. Quando la
potenza del reattore iniziò ad aumentare visibilmente a seguito degli eventi
appena descritti erano trascorsi appena 36 secondi dall'inizio dell'esperimento
e gli operatori si resero conto che era iniziata l'emergenza: erano le
01.23.40.
Non avendo io un bagaglio
culturale che comprenda in modo specifico la fisica nucleare e, in particolare, le
centrali a fissione, ho fatto parecchia fatica a comprendere in modo chiaro gli eventi
che sto qui descrivendo e ho chiesto delucidazioni a chi ne sa più di me. Riporto qui
una breve, ma spero ulteriormente chiarificatrice spiegazione che mi è stata fornita,
con estrema disponibilità e gentilezza, dal Dott.
R. Renzetti di "Fisica/mente":
"Per l'esperimento erano state escluse le pompe di emergenza e si contava solo
su quelle ordinarie. Secondo quanto era stato previsto, il turbogeneratore elettrico in
decelerazione sarebbe dovuto essere in grado di alimentare le quattro pompe ordinarie
(5,5 MW moltiplicato 4), più altre pompe che sono in funzione in varie altre parti del
raffreddamento. In totale un 22 MW + all'incirca 10, cioè 30 MW, una enormità che
incredibilmente era previsto fosse alimentata in quelle condizioni. Si è calcolato che
chi eseguiva l'esperimento credeva di avere disponibili 250 MW (ed in tali condizioni
le pompe avrebbero funzionato per 50 secondi, lo si sapeva !) mentre si era a soli 60MW
(che non vanno tutti per le pompe ma devono alimentare tutta la centrale). A ciò si aggiunse
un altro problema: non essendovi energia sufficiente dal reattore per metterle in funzione
si sarebbero dovuti accendere automaticamente i diesel. E ciò avvenne con ritardo, quello
sufficiente affinché il reattore si scaldasse troppo. Si deve tener conto che il reattore
RBMK non ha i circuiti separati di vapore e raffreddamento, funziona con un solo circuito:
se le pompe non funzionano, dentro il reattore l'acqua, che non circola, vaporizza e le bolle
di vapore non raffreddano".
Gli operatori reagirono attivandosi per reinserire le barre di controllo ma, considerate
la situazione instabile in cui ci si trovava e le elevatissime temperature che si stavano
producendo, i terminali di grafite, nel discendere, fusero gli elementi di combustibile che
si trovavano nella parte inferiore del nucleo, provocando i primi danni strutturali.
Infatti, a causa
della lenta velocità del meccanismo d'inserimento delle barre di controllo (quei lunghi
20 secondi cui ho accennato) e dell'estremità in grafite delle barre, l'inserzione delle
barre contribuì ad aumentare la potenza del reattore anziché bloccarla: nei primi secondi
le estremità in grafite delle barre rimpiazzarono nel reattore un uguale volume di acqua
di raffreddamento ma mentre l'acqua refrigerante assorbe neutroni, la grafite funge da
moderatore portando i neutroni alla velocità ottimale per la reazione. La conseguenza
fu che, all'inizio dell'inserzione delle barre, la reazione venne accelerata
improvvisamente producendo un aumento enorme di potenza nel reattore.
L'improvviso aumento di temperatura (dopo pochi secondi dall'inizio dell'inserzione delle
barre - fra le 01:23:04 e le
01:23:47 - la potenza del reattore raggiunse i 30 GW
termici, dieci volte la potenza normale, e la
temperatura del nocciolo raggiunse i 2.000 °C) deformò i canali delle barre di controllo
che stavano scendendo, al punto che le barre si bloccarono a circa un terzo del loro
cammino, e quindi non furono più in grado di arrestare una reazione in cui l'aumento di
potenza diveniva incontrollato a causa del coefficiente di vuoto positivo. L'operatore se
ne rese conto e tolse la corrente al servomeccanismo, in modo che le barre potessero cadere
per gravità ma le condizioni estreme in cui si trovata l'ambiente nel reattore avevano
distrutto i canali all'interno dei quali, normalmente, avrebbero dovuto scivolare le barre.
La reazione a catena andava avanti senza essere moderata o refrigerata con la conseguenza
che la temperatura del nucleo e la pressione del vapore continuavano ad aumentare.
Alle 01:24:00, 20 secondi dopo l'inizio dell'emergenza,
piccole parti di combustibile ad alta temperatura, reagendo con l'acqua, provocarono una
potente esplosione del vapore che distrusse letteralmente il nocciolo della centrale,
danneggiò il tetto e fece sollevare il coperchio monoblocco di acciaio della centrale
(pesava circa 2000 tonnellate). Ricadendo, esso si incastrò tra le opere murarie e nei suoi
violenti spostamenti strappò cavi e varie tubature provocando ulteriori svariati danni.
Dopo pochissimi secondi, seguì una seconda esplosione, ancora più violenta che coinvolse
l'idrogeno prodotto dalla reazione ad alta temperatura tra vapore e zirconio (il materiale
che faceva da camicia ai tubi che contenevano le barre) e grafite incandescente.
"Man made Hell"
Secondo alcuni testimoni oculari presenti all'esterno della centrale, le esplosioni
scagliarono in aria pezzi di materiale in fiamme fra i quali c'era anche grafite,
elementi di combustibile, parti del nocciolo e delle strutture portanti.) che,
ricadendo, cominciarono allargare l'incendio al corpo della centrale stessa.
L'"effetto camino" delle spaccature nel tetto favorì a sua volta l'estensione
ulteriore dell'incendio e una colonna di fumi, contenenti isotopi radioattivi, si
alzò per oltre un chilometro sopra la centrale, formando una densa nube.
I componenti pesanti di questi fumi ricaddero più o meno nelle vicinanze della
centrale e in tempi relativamente brevi ma i componenti più leggeri furono veicolati
verso Nord-Est dai venti e si diressero verso l'Europa. Il reattore era distrutto ma
la reazione a catena, paradossalmente e quasi "diabolicamente", proseguiva
perché vi era uranio-235 e grafite ancora efficienti. La temperatura non smise mai
di aumentare e il nocciolo cominciò a fondere in una massa unica, nella quale
la reazione a catena proseguiva inesorabile, penetrando nel suolo per oltre 4 metri.
Oltre un centinaio di incendi divampavano in prossimità del reattore, all'interno
della centrale o nelle aree esterne ad essa. Occorreva fermarli, spegnere la grafite
e contenere la radioattività dei fumi prodotti.
Cercando di comprendere e limitare la portata del disastro, le autorità sovietiche
inviarono immediatamente sul posto delle squadre di pulizia e operatori, attrezzati
di soli contatori Geiger e mascherine di tipo chirurgico, per effettuare rilevamenti.
Le radiazioni nei pressi del reattore n°4 misuravano ben 20.000 Röntgen/ora.
Il
Röntgen (R) è l'unità di misura della "dose
di esposizione", una grandezza radiologica che si riferisce alle radiazioni
elettromagnetiche (X e gamma) e riguarda la loro capacità di causare ionizzazione.
1.000 microrontgen (µR) equivalgono ad 1 millirontgen (mR) e 1000 millirontgen
equivalgono ad 1 R.
Un orologio luminoso produce circa 5 mR all'anno; una radiografia produce circa 500 mR;
la normale radioattività della pietra è pari a circa 20 µR all'ora; una dose di 500 R
è fatale all’uomo nel giro di 5 ore.
Molti operatori furono esposti ad una dose mortale di radiazioni nell'arco di pochi minuti.
La maggior parte degli strumenti di rilevazione a disposizione erano infatti in grado
di effettuare misure solo fino a un massimo di 3,6 R/h. In alcune zone, visto che la
propagazione delle radiazioni è a macchia di leopardo, i valori stimati superavano
di oltre 5000 volte il valore riportato dagli strumenti meno efficienti ma all'atto
pratico, leggendo il misuratore, l'unica informazione ottenibile era che il livello
di radiazione superava i 3,6 R/h: nessuno immaginava "di quanto". Le misure
di sicurezza adottate immediatamente dopo il verificarsi dell'esplosione coinvolsero
migliaia di vigili del fuoco e militari, accorsi immediatamente sul luogo del disastro.
Purtroppo, benché la situazione apparisse oggettivamente critica, la città di
Pripyat non venne evacuata immediatamente. Alle 05:00 del mattino alcuni incendi
sul tetto e attorno all'area delle esplosioni erano stati estinti ma il reattore
continuò a bruciare per giorni e venne spento con l'ausilio di elicotteri che
sganciarono tonnellate di boro, silicati, sabbia e dolomia, gli unici materiali
in grado di estinguere un incendio di tale natura ed entità. Ci volle una ventina
di giorni per venire a capo di tutti gli incendi ma già a partire dal decimo
giorno le emissioni radioattive erano diminuite di molto dopo che si era riusciti
a spegnere la grafite, il cui fuoco era il maggior responsabile del lancio di
radionuclidi in atmosfera.
Inizialmente, il governo Sovietico cercò di tenere nascosta la notizia di un grave
incidente nucleare. Certo, occorsero diversi giorni affinché ci si rendesse conto
della gravità effettiva della situazione ma, nonostante essa risultasse comunque
disperata, un velo di omertà si stese sull'ex U.R.S.S. soprattutto a causa del
delicato assetto politico europeo e modiale dell'epoca. Ciononostante, poche ore
dopo l'incidente le apparecchiature della centrale nucleare
di Forsmark, situata a nord di Stoccolma, rilevarono alti livelli di
radiazione nell'aria. I tecnici svedesi supposero, considerati gli alti valori
riscontrati, che vi fosse una falla all'interno di una delle loro centrali e
quindi cominciarono immediatamente a fare controlli in tutti i loro impianti.
Assicuratisi che le loro centrali fossero perfettamente integre e sicure, cominciarono
a cercare altrove la fonte delle radiazioni e giunsero così fino in Unione Sovietica.
Chiesero spiegazioni al governo e perché non fosse stato avvisato nessuno. Dapprima il
governo sminuì la cosa ma ormai gli svedesi, con i loro controlli, avevano messo al
corrente l'Europa intera che un grave incidente si era verificato in una centrale
sovietica. Di lì a poco, il mondo intero cominciò a fare pressione per avere ragguagli
in merito e finalmente i sovietici rilasciarono le prime dichiarazioni pubbliche
sull'incidente. Intanto sull'Europa intera cominciavano a riversarsi già piogge
contaminate e le radiazioni si spargevano a macchia di leopardo su campi, villaggi e
città, soprattutto in Bielorussia.
La Commissione d'Inchiesta, capitanata da Valeri
Legasov, giunse a Pripyat la sera del 26 aprile.
Valeri
Legasov era direttore dell’Istituto Kurchatov di Mosca ove era stato progettato
il reattore n°4 e titolare della cattedra di Tecnologia Chimica all’Università di Mosca. Fu
il primo, nell'agosto del 1986, a dare il primo resoconto ufficiale del disastro e delle
dinamiche con cui era avvenuto, resoconto che imputava principalmente, e quasi esclusivamente,
agli errori e al cattivo operato degli addetti alla centrale le cause dell'incidente. Dal
1986, comunque, le analisi degli eventi proseguirono e fu sempre Legasov a costruire le basi
di quella che sarebbe poi stato il nuovo resoconto ufficiale sulle responsabilità, presentato
ufficialmente nel 1991. Le nuove conclusioni di Legasov chiamavano in causa soprattutto:
- I difetti progettuali del reattore n°4 e, quindi, i progettisti dello stesso;
- La mancanza di dialogo e trasparenza fra progettisti e tecnici, questi ultimi con una
preparazione inadeguata a tenere sotto controllo la situazione alla centrale e privi di
informazioni essenziali, conosciute ma da terze parti;
- La ricerca pedissequa, da parte delle autorità, della maggior resa possibile derivante
dalla centrale, persino a scapito dei fattori di sicurezza.
Il sistema politico non accettò né tollerò le posizioni di Legasov, il cui nome fu proposto
due volte come per l’onorificenza di "Eroe del Lavoro Socialista" e due volte cassato.
Morì suicida nel 1988, proprio il 26 aprile. Nel 1996 il Presidente Yeltsin gli concesse,
alla memoria, il titolo onorario di Eroe della Federazione Russa per il coraggio e l’eroismo
dimostrati durante la dura battaglia combattuta per attenuare le conseguenze del disastro di
Chernobiyl.
La decisione di procedere con l'evacuazione fu presa solo la notte del
27 aprile: fu detto ai cittadini di portare con sé pochi effetti personali,
che sarebbero stati trasferiti in misura precauzionale e che in breve tempo
avrebbero potuto far ritorno alle loro abitazioni. Le autorità sovietiche
iniziarono quindi ad evacuare la popolazione dell'area circostante Chernobyl
dopo circa 36 ore dall'incidente. Giunsero da Kiev decine di autobus,
successivamente abbandonati in una sorta di cimitero di veicoli nella Zona,
dove ancora oggi si possono osservare migliaia di mezzi civili e militari
utilizzati per lo sgombero e la gestione delle operazioni.
Entro maggio, circa un mese dopo, tutti i residenti nel raggio di 30 km
dall'impianto, circa 116.000 persone, erano stati trasferiti. Una volta
spenti gli incendi e tamponata l'immediata emergenza, nei mesi e anni
successivi si procedette alle operazioni di recupero e di decontaminazione
del sito del reattore e delle strade intorno, così come alla costruzione
del sarcofago. Incaricati di queste operazioni furono i cosiddetti
"Liquidatori". In Bielorussia, Russia
e Ucraina circa 600.000 persone, fra militari e civili, ricevettero speciali
certificati, e la associata medaglia, che, in base a nuove leggi appositamente
promulgate (sembra che essi ricevettero anche la promessa che al termine di un
monte ore di servizio sul sito del disastro avrebbero avuto il diritto a una
pensione anticipata di tipo militare), confermavano il loro status di
"Liquidatori", sebbene altre stime basate su registri nazionali parlino
di 400.000 e altre ancora di 800.000 individui.
In ogni caso, furono 226.000-240.000 i Liquidatori che operarono nella zona in
un raggio di 30 Km dalla centrale (la Zona, appunto) fra il 1986 e il 1987 e
furono quelli che ricevettero la dose di radiazioni più critica. Il resto dei
Liquidatori lavorò in aree oltre i 30 Km oppure negli anni fra il 1988 e il 1990,
quando il livello di radiazioni si era già abbassato. I liquidatori erano quindi
uomini, soprattutto civili, provenienti da tutta l’ex Unione Sovietica ed
impiegati, a scaglioni, per spegnere ed arginare gli effetti del disastro e, in
pratica, per "liquidare" le conseguenze dell’incidente: ripulire la centrale,
i villaggi e le strade, spostare (a braccia) il materiale contaminato, seppellire
(con pale e badili) quintali di scorie e materiale radioattivi, lavare con getti
d’acqua la struttura della centrale, i palazzi di Pripyat e le case dei villaggi,
eccetera.
I primi liquidatori vennero incaricati di prelevare i blocchi di grafite dal tetto
per gettarli a braccia dentro allo squarcio dove si trovava il reattore. Erano
sottoposti a turni di 40 secondi l'uno: dovevano uscire sul tetto, sollevare un
blocco di grafite di circa 50 Kg di peso e buttarlo il più rapidamente possibile
nello squarcio. Altri dovevano invece, con l'ausilio di un badile, spalare i detriti,
sempre all'interno del reattore, protetti da indumenti che potevano garantire
soltanto un minimo di protezione dalle radiazioni. Il 9 maggio 1986, le 5000
tonnellate di boro, dolomia, argilla e carburo di boro scaricate nei primi giorni
sul reattore per spegnere l'incendio della grafite, crollarono ulteriormente dentro
la voragine del reattore esploso: da questo ulteriore crollo si sprigionò una nuova
nuvola radioattiva che causò un rilascio di materiale di fissione che si sparse in
un raggio di 35 chilometri, già evacuati, attorno alla centrale.
Secondo gli esperti vi erano buone possibilità che il nocciolo ancora incandescente
e pieno di attività potesse sprofondare ulteriormente arrivando a contatto con l'acqua
delle falde, causando così nuove esplosioni e la fusione del nocciolo. Vennero allora
chiamati dei Liquidatori che operarono come minatori: lavorando a braccia sotto il
reattore, scavarono un tunnel per isolare la struttura soprastante dal terreno. Tra i
Liquidatori, infine, si trovano anche coloro che provvidero alla costruzione del
sarcofago esterno. E' difficile, ora, immaginare quali
sarebbero state le conseguenze del disastro se questi individui, i Liquidatori, non
si fossero sacrificati per spegnere e ricoprire il reattore esploso. Personalmente,
quando correntemente sento parlare di "eroi", qualsiasi significato si desideri
attribuire a questo termine, volgo in automatico il mio pensiero anche ai Liquidatori.

Per chi non conosce i dettagli del disastro di Chernobyl, il termine "sarcofago"
potrebbe suonare strano e fuori luogo. In realtà il "sarcofago" è la struttura
esterna di contenimento che venne allestita, non senza una certa fretta, per far fronte
all'emergenza e, in particolare, per isolare il reattore n°4 e i detriti derivati
dall'esplosione situati negli immediati dintorni. Chiariamolo fin da subito: il sarcofago,
per come fu progettato, allestito e costruito, ebbe e ha ancora un significato puramente
"contingente". La priorità non era fornire una struttura portante solida, stabile
e duratura; era fornire una struttura rapida da costruire, capace di contenere per un
tempo limitato (vedremo più avanti quanto...) la minaccia rappresentata da radiazioni e
scorie radioattive e in grado di resistere in modo soddisfacente quanto bastava per
concludere i programmi di evacuazione, riorganizzazione e allestimento di nuove strutture
di contenimento più performanti.
Come ho accennato, fra il 1986 e il 1987 furono circa 226.000-240.000 i Liquidatori che
si alternarono per la pulizia e la realizzazione dello scudo protettivo rappresentato
dal sarcofago: il reattore necessitava di essere isolato al più presto possibile assieme
ai detriti dell'esplosione, che comprendevano circa 180 tonnellate di combustibile e
pulviscolo altamente radioattivi e 740.000 metri cubi di macerie contaminate. Fu quindi
progettata la realizzazione di un sarcofago di contenimento
per far fronte all'emergenza. La volta del sarcofago è sostenuta da tre corpi principali
che sorreggono una copertura costituita da tubi di 1 metro di diametro e di pannelli di
acciaio. La parete sud è realizzata prevalentemente da pannelli di acciaio che, alzandosi
per alcune decine di metri, si inclinano di circa 115° per poi concludere verticalmente
formando il tetto; la parete est è quella non collassata dello stesso reattore; la parete
a nord è un "mix" di acciaio, cemento e mura semidistrutte; la parete ovest è stata
realizzata a parte e poi montata successivamente sulla facciata con l'ausilio di gru.
Il sarcofago fu "ultimato" a novembre del 1986 ma ogni anno, proprio per la povertà
dei materiali usati e per la mancanza di una più ponderata progettazione, nuove falle (da
pochi centimetri a oltre una dozzina di metri di diametro) si aprono sulla struttura.
La pioggia si infiltra al suo interno e rischia di contaminare le falde acquifere
nonostante il tunnel costruito a braccia dai Liquidatori-minatori per isolare il nocciolo
fuso dal terreno. Si calcola che circa 2.200 metri cubi di acqua si riversino all'interno
del sarcofago ogni anno, facendo aumentare di 10 volte il peso delle fondamenta che va da
un minimo di 20 fino ad un massimo di 200 tonnellate per metro quadrato. Come ho
illustrato, dal giorno dell'incidente il basamento è già sprofondato di oltre 4 metri
permettendo l'infiltrarsi di materiale radioattivo nelle falde acquifere che si riversano
nel fiume Pripyat e, quindi, nel Dnepr. La temperatura all'interno del sarcofago è,
ancora oggi, pari a circa 1.000 °C in prossimità del nocciolo e tale temperatura
contribuisce al costante indebolimento e alla deformazione della struttura.
Subito dopo la costruzione del sarcofago, nelle pareti in muratura interne rimaste sono
stati praticati alcuni buchi artificiali per monitorare, mediante l'uso di telecamere a
distanza e apparecchiature radiocomandante, la condizione interna dell'edificio
semidistrutto. Inizialmente i tecnici e gli operatori supposero di trovare i rottami del
reattore sepolti là sotto tra le macerie ma con loro grande stupore, si resero invece
conto che non era rimasto più niente: la struttura del reattore si era letteralmente
sciolta assieme al nocciolo, colando lungo i piani sottostanti come una vera e propria
"lava radioattiva" che ha formato una sorta di stalagmite dalla curiosa forma che
assomiglia ad un "piede d'elefante" e proprio
così è stata ribattezzata. Costituita dal reattore e dal nocciolo fusi e composta da
uranio, cesio, plutonio, grafite ed altro materiale altamente radioattivo, resterà tale
per migliaia di anni.
Al livello di guardia
Una vera e propria reazione a catena si è sviluppata nell' opinione pubblica,
nella stampa e nelle televisioni, coinvolgendo persino scienziati di alto livello,
a proposito delle notizie relative all' incidente avvenuto nella centrale elettronucleare
di Chernobyl, a circa 130 chilometri da Kiev nell' Ucraina. E' ben nota l' emotività
che produce qualunque notizia relativa al nucleare in quanto quasi sempre si confonde
l' incidente in un reattore nucleare con l' esplosione di una bomba atomica. In proposito
è indispensabile dare un chiarimento di fondo, pur tante volte invano ripetuto: una
centrale nucleare non può esplodere come una bomba, nè un qualsiasi incidente può
trasformare il reattore in una bomba. Diverso è il materiale in partenza. In una
bomba l' uranio naturale è "arricchito" nell' isotopo fissile al 99 per cento,
quindi essa è praticamente costituita solo da materiale capace di dare la fissione
nucleare, cioè la scissione del nucleo atomico; invece, in un reattore, il
cosiddetto "combustibile" è costituito da uranio naturale arricchito dell' isotopo
fissile non oltre il 2,5-3 per cento; il che è una differenza sostanziale. Stabilito
ciò, viene da chiedersi, anche alla luce delle più recenti notizie ufficiali, che
cosa sia accaduto nella centrale di Kiev. Praticamente dai dati finora pervenuti,
l' incidente appare analogo a quello avvenuto alcuni anni orsono in Pennsylvania
nella centrale di Three Miles Island, cioè si è avuta una parziale fusione del
nocciolo del reattore e quindi un rilascio di radionuclidi e di radioattività
nell' atmosfera. Come si ricorderà l' incidente negli Stati Uniti fu, subito
dopo le prime allarmanti notizie, ridimensionato e non si ebbero a lamentare
vittime negli operatori e tanto meno nella popolazione civile, anche se, per
alcune ore, una parte minima di questa fu allarmata ed in parte trasferita altrove.
Fonte: la Repubblica,
1 maggio 1986
L'onda lunga della paura
Mai, in nessun paese del mondo, s' è dato il caso d' un incidente nucleare che
abbia obbligato un governo a tenere sotto controllo medico una massa così grande di
persone come sta ora accadendo in Urss dopo Chernobyl: più di 400 mila, di esse,
almeno 100 mila, dovranno essere tenute sotto controllo per tutta la vita. Il dato
complessivo si ricava agevolmente dalle informazioni diffuse nelle varie sedi sovietiche,
in diversi momenti, a partire da quel tragico 26 aprile. E' un dato per un verso
sconvolgente - perchè rivela l' ampiezza della catastrofe - e per un verso scientificamente
rilevantissimo. L' indagine medica, infatti, può permettere, dopo Hiroshima, di aggiornare,
sulla base di criteri di indagine più progrediti rispetto a quelli di allora, la conoscenza
dei pericoli reali che derivano dalla radioattività. Si tratta di 400 mila persone di ogni
età e investite dalle radiazioni a distanze molto diverse dalle vicinanze immediate, dal
luogo dell' esplosione, a 100-150 chilometri. I sovietici non dicono nè quando l' indagine
verrà conclusa nè se tutti i dati che se ne ricaveranno verranno posti a disposizione degli altri paesi.
Fonte: la Repubblica,
7 giugno 1986
"C'erano 200 tonnellate d'uranio"
MOSCA - Il reattore numero quattro della centrale nucleare sovietica di Cernobyl,
esploso il 26 aprile scorso, conteneva 200 tonnellate di uranio, tre delle quali composte
dall' isotopo attivo dell' uranio (l' uranio 235). Lo ha affermato Feoktistov, vice-direttore
dell' istituto scientifico dell' energia atomica di Mosca. Lo scienziato, in un articolo
pubblicato sul quindicinale ideologico del Pcus Kommunist, sostiene che l' esplosione ha
avuto un carattere catastrofico perchè durante lo sfruttamento del reattore in esso si è
accumulata circa una tonnellata di schegge radioattive. Per questo motivo l' avaria nella
centrale nucleare di Cernobyl è stata accompagnata dall' emissione di isotopi radioattivi
che hanno provocato una notevole contaminazione radioattiva dell' ambiente circostante.
Feoktistov sottolinea che le misure necessarie per decontaminare la zona circostante e
quella più distante, della centrale nucleare sono di più difficile attuazione e più costose
di tutti i provvedimenti presi per la liquidazione delle conseguenze dell' avaria. D' altronde
lo scienziato ribadisce che l' avaria si poteva evitare: bastava seguire scrupolosamente
le misure previste affinchè ogni guasto dentro il reattore non provochi un' esplosione nucleare.
Feoktistov fa inoltre presente che l' uranio 235 è molto più potente di quello contenuto in una
bomba atomica. E' il motivo per cui occorrerà molto tempo prima che sia possibile liquidare le
conseguenze dell' incidente nella centrale nucleare di Cernobyl. L' incidente ha tuttavia dimostrato,
continua lo scienziato sovietico, che il controllo della sicurezza dei lavori nelle centrali atomiche
è possibile solo nelle circostanze di una pace stabile. In caso contrario gli avvenimenti assumono
inevitabilmente un carattere incontrollabile. Non solo una guerra nucleare, ma anche una guerra
convenzionale, potrebbero avere conseguenze terribili per la distruzione di impianti industriali
moderni e soprattutto delle centrali nucleari.
Fonte: la Repubblica,
8 novembre 1986
Italia al terzo posto nella CEE per le radiazioni di Chernobyl
BRUXELLES - L' Italia è fra i paesi della Comunità europea più colpiti dalla nube radioattiva di Chernobyl.
Siamo al terzo posto dopo la Grecia e la Germania ma molto prima di Irlanda, Olanda, Danimarca, Lussemburgo,
Belgio, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo. Lo si apprende da un rapporto pubblicato in questi giorni
dalla Commissione di Bruxelles e nel quale si analizzano le conseguenze dell' incidente nella centrale nucleare
sovietica. Il rapporto si sforza di essere tranquillizzante ma non vi riesce del tutto come spesso accade in
materia nucleare. Alle considerazioni rassicuranti segue sempre un però o un tuttavia che ne attenuano di molto
la portata. Nel suo girovagare, la nube è entrata nei cieli della Comunità da Sud-Est scaricandosi
innanzitutto sulla Grecia che presenta, ovviamente, i valori di contaminazione più elevati. E' salita
poi sulla Germania ed è scesa in Italia prima di espandersi su tutta la Cee arrivando anche,
con residui trascurabili, sino alla penisola Iberica. Il rapporto della Cee utilizza il sieverts,
l' unità di calcolo dell' esposizione globale alla radioattività. Risulta che le dosi effettive
medie assorbite nel primo anno dopo Chernobyl e da un neonato sono di 420 sieverts in Grecia, 230
in Germania e 160 in Italia. Il valore resta immutato in Grecia per i bambini di età superiore ad
un anno e i ragazzi, diminuisce a 200 in Germania ma aumenta a 180 in Italia. Per gli adulti si
scende in Grecia e Germania, rispettivamente a 370 e 190 sieverts, ma si sale a 210 in Italia che
conquista così il secondo posto. La media di sieverts per gli adulti calcolata sui cinquanta anni
ricolloca però il nostro paese al terzo posto. Si tratta di dosi irrilevanti, si affretta a precisare
il rapporto, rispetto alla radioattività naturale assorbita dall' uomo e a quella derivante da
pratiche mediche. Nell' intera vita, un adulto assorbe da 70mila e 140mila sieverts di origine
naturale ai quali bisogna aggiungerne da 21mila e 35mila a pratiche mediche. Tutto bene, dunque.
Ma resta una sgradevole sensazione nell' apprendere è il rapporto della Cee a dirlo che ci
saranno un migliaio di cancri mortali causati nella Comunità direttamente da Chernobyl nei
prossimi settanta anni. D' accordo, ancora una volta è statisticamente irrilevante di fronte
ai 60 milioni di cancri mortali che si prevedono nell' Europa comunitaria nello stesso periodo.
Ma la statistica, si sa, è una scienza strana e quei mille cadaveri in più lasciano quanto meno
a disagio. Tanto più che il rapporto Cee usa sempre il condizionale ed avverte che una maggiore
precisione della stima si potrà ottenere in futuro utilizzando basi di dati migliori. E ancora:
Per quanto riguarda le stime attuali delle dosi assorbite, sembrerebbe che le opportune ricerche
epidemiologiche volte a rivelare un eventuale incremento delle affezioni perniciose e genetiche
dovute all' incidente di Chernobyl non sarebbero realizzabili nella proporzione necessaria per
poter ottenere risultati statisticamente affidabili. Insomma, gli esperti brancolano nel buio.
Un incidente del genere potrebbe prodursi nella Comunità? chiede a pagina 26 il rapporto dell'
esecutivo europeo. La risposta è un no assortito dai soliti tuttavia. Poiché nella Cee si legge
nel documento non esistono centrali nucleari che presentano le caratteristiche sfavorevoli di
stabilità dei reattori Rbmk (quelli di Chernobyl, n.d.r.) e i criteri di separazione delle
funzioni e dei circuiti di sicurezza sono interamente differenti, un incidente del genere non
può essere considerato come un segno premonitore o un avvertimento di particolare importanza
per la Comunità. Tuttavia, l' incidente di Chernobyl ha richiamato nuovamente l' attenzione
su alcuni aspetti della lezione che si è dovuto trarre dall' incidente di Three Mile Island
e cioè l' importanza del fattore umano e dell' interfaccia uomo/macchina, l' utilità di una
struttura di confinamento adeguatamente progettata e costruita, nonché la necessità di tener
conto di una grandissima gamma di eventi concettualmente possibili nel valutare la sicurezza
della progettazione e le possibili conseguenze dell' incidente.
Fonte: la Repubblica,
20 novembre 1986
Mosca non ha avvertito. L'Europa corre ai ripari.
La centrale sovietica di Chernobyl era impiegata per la produzione di plutonio a scopi militari.
Lo afferma Warren Witzlg, presidente del dipartimento di ingegneria nucleare all'università della
Pennsylvania, che ha affermato che i quattro reattori di Chernobyl "servono soprattutto a produrre
plutonio anche se generano pure energia elettrica". Jan vanous, direttore di una società americana
specializzata nell'analisi delle tendenze economiche nell'Urss, ha affermato che
gli esperti concordano che la centrale sovietica è impiegata per usi civili
e militari e che proprio per questo essa non è mai stata aperta alle Ispezioni Internazionali.
Una cinquantina di membri della Camera del deputati di Washington hanno presentato
intanto ieri un progetto di risoluzione che condanna energicamente l'Unione Sovietica per
non avver avvisato in tempo gli altri paesi dell'incidente nucleare di Chernobyl e chiede
che esperti occidentali siano ammessi sul luogo dei disastro. In toni meno drastici,
il responsabile del programma Onu per l'Ambiente, Mustafa Tolba, ha chiesto
al governo di Mosca di render pubbliche tutte le informazioni. Presentato
dal deputato repubblicano della Pennsylvania Robert Walker, il progetto
di risoluzione della Camera ha denunciato il fatto che l'Urss abbia confermato
l'incidente solo dopo che la nube radioattiva era stata individuata dagli
osservatori del paesi scandinavi e ha definito "un crimine internazionale" quello
commesso dal Cremlino con il suo silenzio. Il documento ha anche chiesto che esperti
internazionali possano recarsi a Chernobyl per assistere i sovietici e che i giornalisti
di tutto il mondo abbiano libero accesso alla zona dell'incidente. L'incidente
ha avuto un immediato drammatico riflesso negli Stati Uniti, in particolare in Florida,
poichè sulla non lontana Isola di Cuba tecnici sovietici stanno costruendo una
centrale atomica. L'isola dista 320 km dalle coste e la preoccupazione è
che un incidente slmile a quello di Chernobyl a Cuba costituirebbe un grosso
pericolo per il continente nordamericano. "Se si verificasse a Cuba un incidente di
proporzioni maggiori, come quello di cui si è testimoni oggi a Chernobyl, qui
staremmo molto male", ha detto Bahram Kursunoglu, direttore del
centro di ricerche teoretiche dell'università di Miami. Il leader
cubano Fidel Castro ha ripetutamente enfatizzato i dispositivi di sicurezza
previsti per i quattro reattori in costruzione vicino alla città meridionale
di Gleniuegos. Secondo Dave Joliffe, portavoce della Società Nucleare Americana, esistono
informazioni attendibili secondo cui i sovietici starebbero costruendo
muri di contenimento intorno al reattori a Cuba e che verrà usata acqua pressurizzata,
invece della grafite, per moderare la catena reattiva. Negli impianti
americani e occidentali viene usata l'acqua come mezzo di raffreddamento o
moderazione, mentre nella centrale di Chernobyl il nocciolo del reattore esploso
era protetto da un rivestimento di grafite, senza raffreddamento a
acqua e senza muri di contenimento.
LONDRA — La fuga radioattiva nella centrale nucleare sovietica di Chernobyl non
si può paragonare a quella avvenuta 29 anni fa nella centrale britannica di Windscale,
in Cumbria, secondo un esperto della Atomlc energy authorlty, l'ente atomico britannico,
anche se forse vi può essere qualche punto in comune. Si tratta infatti di due
impianti di dimensioni e struttura diversa, che usano un diverso
tipo di combustibile e materiale per il raffreddamento. L'unico punto
in comune potrebbe essere, secondo l'esperto, il fatto di avere del
«moderatore» di grafite e che la fuga radioattiva è stata
causata nell'uno e nell'altro caso da un incendio, forse proprio della grafite.
[Omissis]
In tutti i Paesi europei ed in
particolare in quelli del Nord, già investiti dalla nube radioattiva,
tutte le attrezzature di misurazione e rilevazione della radioattività
nell'atmosfera, nelle acque e nei vegetali sono entrate in funzione.
STOCCOLMA — «Non bevete acqua piovana» è il pressante invito che la
radio svedese ha rivolto stamane e ripetutamente a quanti abitano nelle
regioni più direttamente colpite dalla nube radioattiva provocata dalla catastrofe nucleare
di Chernobyl. La pioggia, ha spiegato l'emittente, ha contribuito, depositando al suolo
le scorie, ad aumentare i livelli di radioattività nella zona di Uppsala, a Nord di
Stoccolma e nel comprensorio di Oavle, nella Svezia centrale.
COPENAOHEN — Il primo ministro danese Schlueter ha aspramente criticato le autorità sovietiche per
non avere informato immediatamente dell'incidente in Ucraina i Paesi che presumibilmente
sarebbero stati raggiunti dalla nube radioattiva: «lo hanno fatto, ha detto il premier,
dopo che erano passati diversi giorni, e questo è del tutto insufficiente». I danesi
hanno invaso le farmacie alla ricerca di compresse di Iodio, che aiutano la ghiandola
tiroide a non assorbire radioattività.
HELSINKI — [Omissis]
LONDRA — Il primo ministro Margaret Thatcher ha confermato ieri
in Parlamento che dai primi accertamenti non risulta un aumento di radioattività
nell'atmosfera della Gran Bretagna.
BRUXELLES — Secondo l'Istituto metereologico
belga, nessun effetto dell'incidente nucleare avvenuto in Unione Sovietica è stato
avvertito dal sistemi di rilevazione operanti nel Paese.
VARSAVIA — La «nube radioattiva» si
trova tuttora al di sopra della Polonia e «si sposta a grande altezza sul territori nordorientali»
del Paese. Lo indica un comunicato della «commissione speciale governativa»
incaricata dei controlli e del coordinamento delle misure di profilassi
diffuso ieri sera dalla televisione. Raccomandazioni vengono date ad ogni
modo, specialmente per «neonati, bambini e donne incinte» affinché non consumino «latte
proveniente da mucche alimentate con mangimi verdi» a causa
del fatto che lo Iodio può «collocandosi sulle piante, penetrare
attraverso il latte nell'organismo umano».
PRAGA — In Cecoslovacchia
non si è registrato finora nessun aumento del grado di radioattività
nell'aria. Lo, ha reso noto ieri sera l'agenzia di stampa
cecoslovacca «CMc».
BUDAPEST — Anche in Ungheria, secondo l'Istituto
centrale per la fisica di Budapest, non vi è per il momento alcun
pericolo di radiazioni.
Fonte: Stampa Sera - numero 114,
30 aprile 1986
Il Corriere della sera: resoconto completo
Sabato 26 aprile 1986
Esplode il reattore numero 4
All’1.23 dopo la mezzanotte, ora locale, il reattore numero 4 della centrale
nucleare “Lenin” di Chernobyl (Repubblica ucraina, Urss), esplode
durante un test di sicurezza. «Cercavano di fare la pazzia di provare
a vedere come si comportava l’unità 4 in caso di fermata per avaria.
Un’avaria provocata, in questo caso. Era una prova già tentata (con successo)
sull’unità 3, adiacente. Questa volta, non riuscì l’esperimento, somma
di errori umani in sequenza impressionante, dalla progettazione della
centrale senza copertura blindata fino all’affidamento della prova
disastrosa a un turno di addetti che non aveva partecipato alla
programmazione». [Jacopo Giliberto, Sole 10/3/2011]
Potenza e temperatura del nocciolo del reattore aumentano in modo incontrollato.
Alla prima, fortissima esplosione, che provoca lo scoperchiamento del
reattore spostando un blocco di acciaio di 2.000 tonnellate, ne segue
un’altra ancora più forte e altre ancora in seguito. Il nocciolo quindi
sprofonda nel suolo per oltre 4 metri. Già dalle primissime ore le esplosioni
lanciano nell’atmosfera 20 milioni di curie di materiali radioattivi e quasi
la stessa quantità di gas radioattivi inerti. Si calcola che il reattore
di Chernobyl abbia rilasciato una quantità di sostanze radioattive 200
volte superiore alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki messe insieme.
La nube tossica irradia il 70 per cento del territorio della vicina
Repubblica bielorussa. In tutto, sono contaminate aree in cui vivono
nove milioni di persone.
Domenica 27 aprile 1986
Il reattore brucia, Mosca tace
La cittadina di Prjbiat viene fatta evacuare. Circa
cinquantamila abitanti, è ancora più vicina di Chernobyl alla
centrale: solo tre chilometri. Completata nel 1970, è destinata
in gran parte ai lavoratori della centrale e alle loro famiglie.
Squadre di vigili del fuoco, tecnici, militari tentano disperatamente
di spegnere gli incendi che si sono sviluppati e che minacciano gli
altri reattori. Vengono tutti investiti dalle radiazioni. Mosca ancora tace, il mondo non sa.
Lunedì 28 aprile 1986
“Sciagura nucleare in Urss”
Il primo allarme, in Europa, arriva da Stoccolma e Helsinki,
e poi da Oslo e Copenaghen, dove si registra un inquietante aumento
del livello di radioattività. In Italia l’Ansa dà questa notizia
alle 17.58. Dopo che per tutta la giornata le autorità sovietiche
hanno negato l’accaduto, alle 21.01 la Tass diffonde un flash urgente:
«Un incidente si è prodotto nella centrale nucleare di Chernobyl, uno dei
reattori atomici è rimasto danneggiato, misure vengono prese per liquidare le
conseguenze del guasto, ai colpiti viene prestato aiuto, è stata costituita una
commissione governativa». Sandro Scabello, corrispondente del Corriere della Sera da Mosca,
annota: La formazione di una commissione d’inchiesta governativa lascia intuire che
si è trattato di una vera e propria catastrofe». Il Corriere va in stampa con
il titolo “Sciagura nucleare in Urss”. [Cds 29/4/1986]
Nessuna variazione della radioattività in Italia, dice l’ingegner
Giovanni Naschi, direttore della divisione sicurezza e protezione
sanitaria del’Enea. Per domani è annunciata una rilevazione generale
straordinaria: «Credo che non troveremo molto: tutto
dipende dalle correnti atmosferiche, se spirano da quella
parte dell’Unione Sovietica verso l’Italia». [Cds 29/4/1986]
Martedì 29 aprile 1986
Paura nucleare sull’Europa
Il Cremlino chiede con urgenza assistenza e informazioni tecniche a Bonn
e a Stoccolma. L’incidente, dice un secondo comunicato, ha provocato
la «distruzione di parte delle strutture della costruzione», il
danneggiamento del reattore e la fuga di «una certa quantità di sostanze
radioattive». I morti sono due. Fonti occidentali parlano di 2.000 vittime,
la Cnn di 280. Evacuati gli abitanti di Chernobyl e di altri tre centri urbani
nelle vicinanze. I sovietici hanno steso un cordone di sicurezza su un’area
di trenta chilometri attorno alla centrale. [Scabello, Cds 30/4/1986]
Un anonimo funzionario del Pentagono riferisce in serata che dalle
rilevazioni dei satelliti si nota la scomparsa totale del tetto della
centrale atomica e il crollo di una parte delle pareti del reattore.
I venti che avevano portato la nube sul Nord-Europa sono lentamente ruotati
in direzione antioraria: l’aria contaminata è passata sulla Polonia.
Svezia e Danimarca hanno protestato con Mosca a livello ufficiale:
dovevano essere avvertite immediatamente. Lunghe file fuori dalle
farmacie in Danimarca: la gente cerca pasticche di iodio per combattere
gli effetti delle radiazioni, in Svezia sono andate esaurite in mezz’ora.
Il Corriere va in macchina con un titolo a tutta pagina
in prima: “Paura nucleare sull’Europa”. [Cds, 30/4/1986]
“L’Italia non corre alcun pericolo”
Conferenza stampa affollatissima del ministro per la Protezione civile
Giuseppe Zamberletti, dove si dice che la nube radioattiva potrebbe
raggiungere l’Italia tra l’1 e il 3 maggio, e che comunque il nostro
Paese non corre alcun pericolo: «I livelli di radioattività non
andrebbero al di là di quelli misurati in queste ore in Svezia,
e cioè cinque volte superiori al fondo naturale». Mobilitate tutte
le stazioni di rilevamento radioattivo: 800 dei vigili del fuoco,
18 dell’Aeronautica, 25 dell’Enea, 4 dell’Enel.
«Nella centrale nucleare di Caorso apparentemente nessuno è preoccupato.
Tutto scorre come nei giorni precedenti alla tragedia di Chernobil. Nella
palazzina chiamata “Centro di informazione numero 1” entra, come
tutti gli altri giorni, una scolaresca: cinquanta ragazzi della
media Bagatti di Varedo, vocianti, si accalcano intorno ai plastici che
illustrano le strutture e il funzionamento della centrale».
La segreteria regionale del Pci chiede l’immediata sospensione
dei lavori di costruzione della nuova centrale elettronucleare
di Trino Vercellese (2mila megawatt, investimenti per 5mila miliardi di lire) che
dovrebbe entrare in funzione tra una decina d’anni.
In Parlamento diversi partiti chiedono chiarimenti. Verdi
ed ecologisti hanno cominciato a protestare. Il Pci propone
anche di sospendere le procedure per il raddoppio della centrale
di Montalto di Castro. Ma il partito non è compatto: c’è
un’ala filonucleare (Giovan Battista Zorzoli, responsabile della
commissione energia) e una antinucleare (Antonio Bassolino il
dirigente più in vista). Il democristiano Salvatore D’Amelio
accusa gli organizzatori delle mobilitazioni antinucleari di
voler far tornare il Paese alla «civiltà delle candele». [Cds, 30/4/1986]
Mercoledì 30 aprile 1986
La nube radioattiva sfiora l’Italia
La nube radioattiva sorvola Austria, Svizzera e Jugoslavia. In Italia
i primi segnali sono captati a Ispra (Varese) e Caorso (Piacenza). E’
arrivata prima del previsto, ma l’innalzamento rispetto al fondo naturale,
fino a notte, si mantiene entro i limiti di 1,8 volte. Per Naschi, dell’Enea,
un aumento anche di 5 o 10 volte è irrilevante ai fini
sanitari: «Perché ci siano effetti nocivi sulla salute dovrebbero registrarsi
livelli di alcune centinaia di volte rispetto al fondo». Più preoccupati
esperti di Greenpeace e Italia Nostra, che temono effetti cancerogeni a
lungo termine a causa dell’ingresso nel ciclo alimentare dei prodotti della fissione.
Il più grande incidente nucleare
Zamberletti al Senato, il ministro dell’Industria Renato Altissimo alla Camera
tendono a sdrammatizzare le eventuali conseguenze per l’Italia
del «più grande incidente nucleare» mai verificatosi fino ad oggi.
La comunicazione ufficiale dell’incidente è stata data dall’Urss a
Roma solo alle 20.15 di martedì 29. Nelle repliche, muro di reazioni
negative alle reticenze sovietiche. La Dc, insieme ad Altissimo, conferma
alla Camera la volontà di non modificare il Piano energetico nazionale. [Cds, 1/5/1986]
La Tass si fa sentire al solito alle 21: conferma che i
morti sono due, aggiunge che dei 197 feriti 49 hanno già lasciato l’ospedale.
Mosca minimizza ancora: il telegionale della sera si apre con le immagini della
piazza Rossa imbandierata per la festa del Primo maggio di domani. Solo più tardi
appare la prima foto, in bianco e nero, della centrale devastata dall’esplosione.
Le vittime, dicono alcune testimonianze, sarebbero centinaia. Migliaia di capi di
bestiame sarebbero morti in poche ore. Le autorità regionali hanno proibito la
balneazione e la pesca nei fiumi. Gorbaciov tace. [Cds, 1/5/1986]
Giovedì 1 maggio 1986
L’Italia coperta dalla nube
Contrariamente a quanto si era sperato, la nube non ha semplicemente
sfiorato il Nord Italia, ma già da oggi investe in pieno la penisola
e ci ristagna sopra. Quello che più preoccupa è l’accumulo sul terreno
dello Iodio 131, un isotopo che entra facilmente nel ciclo biologico
passando dal suolo alle piante, dagli animali fino all’uomo.
Zamberletti suggerisce di lavare bene le verdure. [Cds, 3/5/1986]
«Quando l’uranio si spezza, fra le altre cose viene prodotto questo
parente stretto, o isotopo, dello Iodio. Lo Iodio 131 entra nel
metabolismo dell’uomo depositandosi nella tiroide ed esponendo questo
organo a piccolissime dosi di raggi gamma, cioè di radiazioni
elettromagnetiche di altissima frequenza, simili ai raggi X delle
radiografie» (Claudio Sennis, direttore aggiunto del Dipartimento
sicurezza e protezione sanitaria dell’Enea, sentito da Franco Foresta Martin). [Cds 3/5/1986]
Venerdì 2 maggio 1986
Pioggia nucleare, emergenza in Italia
Quantità apprezzabili di Iodio 131 vengono trovate nelle verdure
e nel latte delle mucche che hanno pascolato all’aperto il primo
maggio. «Situazione sotto controllo», dice Zamberletti nel primo pomeriggio.
Ma il suggerimento di ieri a lavare bene la verdura si trasforma in un
pressante invito ad astenersi dal suo consumo. Prende subito l’iniziativa
il ministro della Sanità Costante Degan, che non appena finita la conferenza
stampa di Zamberletti converte in ordinanza i suoi consigli. Per 15 giorni
è vietata la vendita di verdure fresche a foglie e la somministrazione di
latte fresco ai bambini fino ai 10 anni di età e alle donne in stato di
gravidanza. Il Corriere in prima torna domani al titolo a tutta
pagina: “Pioggia nucleare, emergenza in Italia”. [Cds 3/5/1986]
Boris Eltsin, segretario del partito comunista per la regione di
Mosca, ammette per la prima volta che l’incidente è stato provocato da
un errore umano e che la zona intorno agli impianti è contaminata in
modo grave: radioattività intorno ai 200 roentgen per ora, un livello
letale. [Cds 3/5/1986]
Tutto esaurito al Cristallo Palace di Bergamo, unico
albergo in Europa dotato di un capace e sofisticato rifugio
a prova di atomica: la reception non ha requie, non ce la fa
più a star dietro alle richieste di prenotazione. Il bunker
ha una riserva di acqua, un generatore autonomo di corrente,
due apparecchiature per filtrare l’aria dalle radiazioni,
misuratori della radioattività atmosferica ecc. È stato
progettato da un ingegnere della Nato. [Cds 3/5/1986]
Sabato 3 maggio 1986
La nube fa meno paura
La nube sta per lasciare l’Italia. Zamberletti assicura che la
radioattività non ha mai superato valori oltre dieci volte quelli normali.
Il governo pensa già alla possibilità di accorciare la durata dei
divieti in vigore da ieri. Molti mercati sono rimasti chiusi, in
diverse città non è stato distribuito latte fresco. Già bruciati
cento miliardi di lire. Manifestazioni antinucleari in molte piazze d’Italia. L’Unione
consumatori dice che il miglior antidoto contro l’assorbimento della radioattività
è il pesce, soprattutto quello azzurro. [Cds 4/5/1986]
Vietata la verdura a foglie
Sindrome da accaparramento a Roma: terminate le scorte
del latte a lunga conservazione. Una certa corsa, ma
più contenuta, ai prodotti in scatola che possono sostituire
la verdura fresca. Confusione nei negozi e nei mercati: i finocchi
come devono essere considerati? Il ministero specifica con una
circolare: «Per verdure fresche a foglie devono intendersi
prodotti quali insalate varie, cime di rapa, bietola, spinaci,
cicoria, scarola, indivia, broccoli, cavoli, cavolfiore,
verza, agretti, asparagi varietà verde, carciofi e similari». I finocchi
si possono vendere e mangiare. L’ordinanza è rispettata soprattutto
nelle città del Nord. Ma si teme il collasso di un settore, l’ortofrutta,
da sempre uno dei capisaldi della bilancia agro-alimentare. Nella
classifica mondiale dei produttori l’Italia è al secondo posto dopo
gli Stati Uniti. Prima invece per quanto riguarda l’export (nel 1985
dalle vendite all’estero il settore ha ricavato 2.700
miliardi di lire). [Cds 4/5/1986] «E la gente come l’ha presa?
Per farmene un’idea, ieri mattina, dodici ore la grida dell’accoppiata
Zamberletti-Degan addetta ai disastri e alla sanità, ha fatto un giro per
Milano (...)». [Leggi l’articolo di Vittorio Feltri]
Tra la gente al supermercato
E la gente come l’ha presa? Per farmene un’idea, ieri mattina, dodici ore dopo la
grida dell’accoppiata Zamberletti-Degan addetta ai disastri e alla sanità, ho fatto
un giro per Milano. Alle 9 entro in uno dei più rinomati supermercati, in via Santa Croce,
e allibisco: una graziosa composizione di lattuga è in bella mostra sul bancone;
accanto, una cassetta di radicchi rugiadosi e varie verdure che non nomino per
pura ignoranza botanica, ma che di sicuro sono vietate, avendo foglie larghe,
larghissime: cavolfiori, spinaci, rucola? Uno stormo di anziane passa in
rassegna i cespi, li esamina con occhio intenditore, sceglie e butta il
preferito nel carrello. Domando: ma non è proibita?
«Cosa?»
L’insalata.
«Perché?»
Ordine del governo, per la nube: non ha sentito?
«Stupidat, sono scampata a 50 anni con mio marito, quater fioeu,
una guèra e la pensione sociale , e adess mi, io dovrei aver paura del cicorino?».
Un giovanotto in camice, un dipendente, presumo, armeggia nello scaffale.
Scusi, lei è della ditta? Non siete stati avvertiti che la verdura non si può vendere?
«Se dovessimo dar retta a tutto quello che dicono, ciao».
Altro supermercato, in via Santa Sofia. Identica scena. Una distesa
di songino e di trevisano che va a ruba. Anche stavolta mi intrometto
nella spesa di una signora: «Se permette, le consiglio di non mangiare
quella roba, è piena di particelle radioattive, rischierebbe di ammalarsi».
Mi guarda con diffidenza, probabilmente mi ha scambiato per un borseggiatore,
poi scuote la testa e mormora: «Figurarsi, oggi non c’è più niente di genuino;
o che viene su nelle serre o che la fanno arrivare da Israele, dall’Africa
o non so da dove, ma non dall’orto. Ma dove sono gli orti? In piazza del Domm? O a Seveso?».
Interviene un’altra cliente e si anima una discussione. Cui aderiscono
immediatamente cinque o sei persone. Attacca uno sui 60 anni: «Criticano
tanto i russi, ma noi siamo peggio. Se capiss un accident: sbandierano che non
c’è pericolo e poi mettono ko l’insalata e il latte. Ma allora? Che si mettano d’accordo».
Un secondo, di poco più giovane: «A me che non mi va giù è la storia
dell’acqua piovana, l’è una presa in gir: ma chi è che la beve? S’è mai
visto qualcuno a Milano che va a fare rifornimento idrico sulle grondaie?».
Una donna: «Tempi duri, Nostradamus aveva previsto tutto».
Un’altra: «Macché Nostradamus, colpa di Halley, la cometa che mena gram:
prima la Libia, poeu el metanolo, mancava la pioggia atomica».
«Per me – prosegue il dibattito, che è troppo confuso e acceso, ormai,
per consentirmi di dare paternità alle battute – ci deve essere
sotto qualcosa di grave e ce lo nascondono, come giustamente sostiene
quel signore che difende i russi».
«Ma io non è che difendo i russi. Dico solo che è un caos. Ho letto che
a Bologna i bambini non possono giocare con la sabbia o la terra o
quel che l’è. E quelli di Modena, poden crepà?».
«Questo è da ridere in confronto alla faccenda dei pompieri di Caorso,
là dove c’è la nostra turbina nucleare. Ieri in televisione s’è visto
che hanno fatto delle rilevazioni e il comandante fa “Sì, qual cosina c’è”. Ma
siamo matti, cosa significa qualcosina? Decidetevi a parlare benedetta gente».
Verso le 10 più nessuno ha voglia di scherzare: i vigili sigillano
le cassette di verdura che trovano nei negozi di fruttivendolo.
E uno commenta: «Scommetto l’osso del collo che la congelano e fra
15 giorni la rivendono al doppio. Tanto, assicurano che dopo un po’ di tempo la radioattività svanisce».
Persino le rosticcerie sono in difficoltà: casseruole di spinaci
bolliti finiscono nella pattumiera. Chi compra i ravioli indaga
sul ripieno: se ha il sospetto che contenga qualsivoglia erba,
rinuncia. In un bar, la radio è accesa, sintonizzata su un’emittente
privata, lo si deduce dall’eloquio dello speaker. Va in onda un’intervista
a un funzionario della centrale del latte: «Bevetene il più possibile –
incoraggia gli ascoltatori -: disintossica!». Il barista resta di
pietra: «Fa bene o male, ’sto latte? Non si sa più a chi dare ascolto». E
un avventore, sorseggiando del vino: «Ma lei pensa proprio che le mucche
mangino l’erba? Fra gli estrogeni e il foraggio nucleare, forse è meglio
il metanolo. Mi dia un altro bianco, almeno muoio allegro».
Vittorio Feltri
[Cds 4/5/1986]
Il Cremlino affida al primo ministro Ryzhkov, al numero due
del Pcus Libaciov e al leader dell’Ucraina Sherbitski l’inchiesta
sull’incidente. Dure accuse del presidente americano Reagan all’Urss:
ci devono una spiegazione: non è solo una questione interna. Il
presidente del Consiglio Craxi incontra Reagan a Tokio alla vigilia
del summit dei Grandi. [Cds 4/5/1986]
Gli ecologisti denunciano Zamberletti e Degan (per la «vergognosa carenza
di informazione ai cittadini, e la forma incerta con cui sono state prese
le misure preventive») e Gorbaciov per «attentato alla salute». [Cds 4/5/1986]
Domenica 4 maggio 1986
Il vento disperde le radiazioni
La nuvola dovrebbe definitivamente abbandonare il nostro Paese questa settimana.
Vanno diminuendo i livelli di concentrazione dello Iodio 131 nell’aria e
nella vegetazione, aumentano invece nel latte. E’ ancora polemica
sull’ordinanza di Degan. Un dirigente dell’Enea: nessun paese in Europa,
tranne la Polonia, investita direttamente, ha adottato misure così
drastiche. Per gli esperti della Sanità invece l’ordinanza era doverosa. [Cds 5/5/1986]
Il Papa accenna per la prima volta all’incidente: rivolgendo un pensiero
alle popolazioni di Kiev e dell’Ucraina. Strip-tease antinucleare con
Cicciolina (Ilona Staller) e Ramba (Ileana Caruso) in piazza del Popolo a Roma: si
sono spogliate rimanendo solo con alcuni carciofi in mano. Traffico paralizzato,
sono intervenuti i carabinieri. [Cds 5/5/1986]
Lunedì 5 maggio 1986
Via la nube, aumenta la radioattività a terra
L’aria è più pulita, ma la pioggia, trascinandosi dietro le particelle
non ancora spazzate dal vento, aggrava la situazione. I valori di radioattività al
suolo e nei vegetali in ventiquattr’ore sono quasi raddoppiati.
Nei mercati sono triplicati i prezzi delle patate novelle dalla
Sicilia. All’ortomercato di Milano i pomodori Riviera sono schizzati
a 4.000 lire al chilo all’ingrosso e quelli normali (che sabato erano a 1.200)
vengono ceduti dalle 2.800 alle 3.000 lire.
Sulle centrali nucleari in Italia si profila un referendum. I radicali
cominceranno tra 15 giorni la raccolta delle firme. Anche socialisti e
comunisti hanno lanciato l’idea, ma i comunisti sono spaccati: mezzo
partito favorevole alle centrali, mezzo contro. Anche i partiti
tradizionalmente filonucleari come la Dc sembrano favorevoli a una
pausa di riflessione.
Il governo sovietico ammette per la prima volta che le radiazioni
hanno oltrepassato la zona di 30 chilometri attorno all’impianto che è
stata fatta evacuare. [Cds 6/5/1986]
Martedì 6 maggio 1986
Le campagne ancora ricoperte dalla “brina nucleare”
Slitta la revoca dei provvedimenti governativi sul divieto di vendita delle
verdure. Al Nord i livelli di contaminazione tornano sui valori del 2 maggio,
quando la nube è arrivata sull’Italia. Sono in rialzo anche al Centro ma
soprattutto al Sud. La Regione Lombardia invita i genitori a tenere i bambini in casa.
Consigli del dietologo: al posto del latte fresco scegliere
quello a lunga conservazione, in polvere o condensato e i
formaggi; sostituire le verdure a foglie con verdure surgelate
e in scatola, patate, carote, pomodori, peperoni, zucca,
frutta fresca (mele, pere, agrumi), cereali integrali
(per l’apporto di fibre e vitamina E), compresse polivitaminiche e poliminerali.
Primo reportage della tv russa a Chernobyl: sono passati dieci giorni dal disastro. [Cds 7/5/1986]
Mercoledì 7 maggio 1986
Troppo radioattivi per la Cee alcuni prodotti italiani
Sospinta dai venti la nube ha lasciato l’Italia, ma il pericolo della
radioattività al suolo continua. I medici consigliano di non tenere
i bambini chiusi in casa. E’ sufficiente lavarli quando rientrano.
Per la Comunità europea alcuni prodotti agricoli italiani sono troppo
radioattivi, ma è scontro tra i Dodici sui limiti di rischio. [Cds 8/5/1986]
Crollano in Italia le vendite di latte e formaggi freschi. Si stimano
in cinque miliardi di lire al giorno i danni per il settore dell’ortofrutta. [Sta. 8/5/1986]
Giovedì 8 maggio 1986
Buca la terra il rogo nucleare?
Mentre il premier ucraino assicura che l’incendio a Chernobyl è praticamente domato,
tecnici occidentali avanzano una drammatica ipotesi: il nocciolo
avrebbe già sfondato lo zoccolo di protezione. La gente continua a fuggire da Kiev. [Cds 9/5/1986]
Venerdì 9 maggio 1986
“A due passi dal deserto nucleare”
Francesco Bigazzi dell’Ansa è uno dei primi giornalisti
occidentali ad essere accompagnato dalle autorità sovietiche
in Ucraina nei luoghi colpiti dal disastro.
Il vento sta riportando la nube sull’Italia, ma la situazione migliora
al Sud. In Sicilia e in Sardegna è revocato il divieto di vendere la verdura fresca. [Cds 10/5/1986]
Sabato 10 maggio 1986
Si spegne l’emergenza nucleare
Massiccia manifestazione degli ecologisti a Roma contro il pericolo
atomico: centomila in piazza, disordini provocati dagli autonomi.
Sono assenti i principali partiti e molti dei politici che avevano
aderito all’iniziativa. [Sta. 11/5/1986]
Migliora nettamente la situazione in Italia. Ma a Bruxelles continua
la guerra agli ortaggi radioattivi. Confusione tra i Dodici sulle
misure che limitano le esportazioni di latte e verdure. Bloccate
quelle dall’Est europeo. Critica a sorpresa dell’Unione consumatori:
«Ridicoli i divieti, si può mangiare tutto». [Cds 11/5/1986]
Domenica 11 maggio 1986
Nucleare, sull’Italia torna il “sereno”
Si è ripulita l’aria sulla penisola, scende la radioattività
a terra. Gli ecologisti marciano a Trino Vercellese per bloccare
i lavori di costruzione di una seconda centrale da 2.000 megawatt,
voluta da goverbno, regione e comune di Trino. [St 12/5/1986]
Interviene Papa Giovanni Paolo II: l’atomo rende pauroso
il cielo e può danneggiare l’intera umanità al di là delle frontiere nazionali. [Cds 12/5/1986]
I sovietici riprendono il controllo della centrale ma per due settimane
hanno temuto la catastrofe. Solo ora Mosca ammette pubblicamente
l’estrema gravità dell’incidente di Chernobyl. Responsabili dell’informazione
sovietica incontrando esponenti dei mass media dell’Ovest si giustificano
così: «Se qualcuno muore non ci precipitiamo alla porta di casa a chiedere
cos’è successo. Per non creare panico vogliamo essere precisi e ciò richiede tempo». [Cds 12/5/1986]
Martedì 13 maggio 1986
Ridotti i divieti al Centro-sud
Da oggi è libera la vendita di verdura dalla Toscana in giù. Resta
proibito il latte fresco a bambini e gestanti. Migliaia di quintali
di verdura sono stati avviati all’Aima per la distruzione. Livelli
di radioattività ancora elevati in Veneto e Trentino-Alto Adige.
Mercoledì 14 maggio 1986
Gorbaciov in tv
«Una sventura è scesa su di noi. Il peggio è passato, ma è ancora
presto per dire la parola fine». Alle nove e due minuti Mikhail
Gorbaciov compare sui teleschermi dell’Urss e rompe un lungo silenzio.
Parla per 27 minuti, dice che l’incidente di Chernobyl è stato
estremamente pericoloso, «per la prima volta abbiamo sperimentato
quanto sia sinistra la forza dell’energia nucleare che sfugge al controllo».
Spiega che i morti finora sono nove, 299 le persone ancora in ospedale.
«Ma le misure prese hanno evitato un numero maggiore di vittime». [Sta. 15/5/1986]
In Italia si decide che il 22 maggio partirà la raccolta firme per
tre referendum sul nucleare: uno proposto dai radicali, uno da
Democrazia proletaria, uno dagli ambientalisti. Il ministro della
Difesa Spadolini scrive un editoriale sulla Voce Repubblicana:
«Il futuro del Piano energetico non può essere affidato alle marce e ai referendum». [Sta. 15/5/1986]
Sabato 17 maggio 1986
Verdura libera anche al Nord
La vendita degli ortaggi può riprendere ovunque dalla mezzanotte.
Resta in vigore, fino al 24, il divieto per il latte a bambini e gestanti.
Mercoledì 21 maggio 1986
Un sondaggio misura l’effetto Chernobyl
Nucleare o no? In un sondaggio del Corriere l’Italia risponde
così: 70,7% No, 22,8 Sì, 6,5% Non so. Quasi il 50% vuole
la chiusura delle centrali esistenti. [Cds 21/5/1986]
Sabato 24 maggio 1986
"L’emergenza è finita"
Torna libero anche il latte fresco. Solo la Regione Veneto continua a
vietarlo (fino al 31 del mese). Il presidente del Consiglio Craxi
dice: «L’emergenza è finita». Lo Stato ora deve rimborsare gli
agricoltori. Si stima che la perdita sia stata di cento miliardi alla settimana. [Cds 25/5/1986]
Domenica 8 novembre 1987
L’Italia va al referendum sul nucleare
L’effetto Chernobyl si fa sentire sul referendum
che si tiene l’8 e il 9 novembre del 1987. Gli elettori
italiani abrogano a larga maggioranza le tre norme poste
in votazione: 1) attribuire al Cipe (Comitato interministeriale per
la programmazione economica) il potere di determinare le aree dove
insediare le centrali elettronucleari, nel caso non lo facessero
le Regioni; 2) autorizzare l’Enel a versare contributi a Regioni
e Comuni in proporzione all’energia prodotta sul loro territorio
con centrali nucleari o a carbone; 3) consentire all’Enel
di «promuovere la costruzione» di impianti elettronucleari «con società o enti
stranieri» o anche «assumere partecipazioni che abbiano come
oggetto la realizzazione e l’esercizio di impianti elettronucleari» all’estero.
Vota all’incirca il 65 per cento degli aventi diritto, la scelta emersa
dalla consultazione è nettamente antinucleare (i Sì all’abrogazione vincono
rispettivamente con il 70,4, 69,1 e 63 per cento). [Piero Fornara, Sole 2/11/2007]
Le conseguenze di Chernobyl
A venticinque anni dall’espolosione del reattore di Chernobyl
non esiste un bilancio unanimemente riconosciuto delle vittime
del disastro nucleare. Diverse le ragioni: le reticenze sovietiche
prima e la battaglia ideologica tra nuclearisti e antinuclearisti poi,
ma anche la difficoltà oggettiva di raccogliere i dati, di stabilire
con certezza, per esempio, quanti tumori siano stati causati direttamente
dalla nube radioattiva, di dover analizzare il fenomeno su un arco
temporale non di giorni o mesi ma di decenni.
Un rapporto del Chernobyl Forum (Agenzia internazionale per l’energia atomica,
Organizzazione mondiale della sanità, governi di Bielorussia, Russia e Ucraina),
pubblicato nell’autunno del 2005, parla di 58 decessi direttamente riconducibili
all’incidente e di 4.000 fra gli evacuati dalla zona di esclusione (quella
fino a trenta chilometri dall’epicentro del disastro), gli abitanti delle
zone più inquinate e i 600.000 liquidatori, ossia tecnici, pompieri e
soldati che da Ucraina, Russia e Bielorussia furono spediti a Chernobyl
per tentare di arginare il disastro. [Cds 9/4/2006]
«Per l’Accademia delle Scienze di Mosca, solo in Bielorussia,
verso cui la notte della tragedia i venti spinsero enormi quantitativi
di sostanze tossiche, si registrerebbero attualmente 270mila casi
di tumore attribuibili alle radiazioni. Di questi, 93mila
dovrebbero avere un esito fatale. (…) A sentire Leonid Bolshov,
direttore dell’Istituto per l’energia atomica russa, Chernobyl
è stato soltanto un incidente tecnico, di sicuro non una catastrofe.
Dice lo scienziato: “I dati parlano chiaro: 47 persone sono morte quasi
sul colpo, e nove bambini di tumore alla tiroide”. Di diverso parere
Viaceslav Grishine, che in quei fatidici giorni lavorò allo spegnimento
dell’incendio della centrale: “Degli oltre 600mila likvidatory 45mila
sono morti e quasi 120mila sono rimasti gravemente invalidi”». [Pietro Del Re, Rep. 26/4/2006]
Una stima dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro,
basata su studi relativi ai sopravvissuti delle bombe atomiche
in Giappone, nel giugno 2005 ipotizzava che entro il 2065 ci si
dovrebbero aspettare 16.000 casi di tumore alla tiroide e 25.000
di altro tipo, con 16.000 morti. I Verdi aumentano a 30-60 mila
la stima delle vittime presunte, Greenpeace parla di 6 milioni di
morti nei 70 anni successivi al disastro. [Iarc.fr, G. Sp. 15/3/2011]
Vladimir Kolinko, nell’aprile del 1986 tra i primi a
correre a Chernobyl dopo il disastro, tre anni dopo realizza un
documento-denuncia, filmato su una cassetta clandestina. "Nelle campagne
contaminate dell’Ucraina, nascono animali moribondi, esseri deformi,
creature mai viste, figlie della nuvola radioattiva e della polvere nucleare
che copre le colture e le acque. Sono i poveri mostri di Chernobyl e
chi li ha visti, si chiede ormai quando toccherà all’ uomo. (…) Il
piccolo kolkhoz Petrovski, con i suoi 350 bovini e gli 87 maiali, è un test
empirico, rivelatore di una realtà terribile per questa campagna ucraina.
Il rapporto ha appurato che nei cinque anni precedenti il disastro di
Chernobyl qui si erano registrati solo tre casi di malformazione tra
i piccoli maiali, mentre tutti i vitelli erano perfettamente normali.
Un anno dopo l’ esplosione nucleare, la statistica diventava agghiacciante:
tra gli animali erano nati 64 mostri, 37 maialini e 27 vitelli. Nei primi
nove mesi dell’ 88, è ancora peggio: 41 maiali deformi, 35 bovini.
I vitelli ogni tanto non hanno la testa o le gambe, nascono senza
costole o senza occhi. I maiali presentano una testa malformata (…)". [Ezio Mauro, Rep. 15/2/89]
Chernobyl oggi
«(…) Chernobyl, l’unico incidente nucleare della storia di livello 7 - il
massimo -, è l’inevitabile riferimento di queste ore, la pietra
radioattiva di paragone che terrorizza al solo nominarla».
Viaggio nel sarcofago di Chernobyl,
dove si potrà tornare a vivere tra 600 anni
«Non sarà un’altra Chernobyl» ripete a ogni novità il governo
giapponese. «Nessun rischio Chernobyl» assicura l’agenzia per la sicurezza nucleare.
«Niente a che vedere con Chernobyl» giura il ministro francese dell’industria,
che teme un insorgere del malcontento verso le sue centrali. Chernobyl,
l’unico incidente nucleare della storia di livello 7 – il massimo –, è
l’inevitabile riferimento di queste ore, la pietra radioattiva
di paragone che terrorizza al solo nominarla.
Il sarcofago
Chernobyl è questo immane e stremato sarcofago cento metri
davanti a noi. Sembra reggersi solo grazie al sostegno metallico,
simile alla rampa di un missile, con il quale l’hanno puntellato nel
2006. L’uomo che ci ha traghettato sin qui, 150 chilometri a nord di
Kiev, si chiama Maksim, e di mestiere guida turisti estremi nella «zona di esclusione»,
il cerchio contaminato – 30 chilometri di raggio – nel quale non si
potrà tornare a vivere prima di 600 anni. «Potete scattare una foto da qui, ma non un passo
in più e sbrigatevi perché fra due minuti dobbiamo andare». Per aumentare
l’autorevolezza dell’ordine, Maksim estrae il contatore geiger dalla
tasca e lo accende. Nella base di partenza del viaggio – il vecchio
abitato di Chernobyl, 18 chilometri più a sud – i microroentgen
segnalati erano 12; qui superano in un amen i 500. «Nessun problema – ripete
Maksim con voce platealmente calma – ma non oltre questo punto, e non più di due minuti».
Questo punto, fuori dal cancello della centrale, è la stele eretta
in memoria dei primi soccorritori, i pompieri e gli operai andati
a cuocersi di radiazioni per spegnere l’incendio, e morti
nelle settimane successive. L’iscrizione, opportunamente,
è anche in inglese: «Agli uomini che salvarono il mondo dal disastro nucleare».
I bilanci
Qualche cifra è indispensabile per capire il loro sacrificio. Mille
microroentgen l’ora fanno un milliroentgen, mille milliroentgen fanno
un roentgen, un’esposizione a 500 roentgen uccide in cinque ore. Nella
notte del 26 aprile 1986, in seguito a un test di sicurezza concepito
male ed eseguito peggio, il reattore numero 4 esplose, scoperchiando con
la forza del vapore il cilindro di contenimento – e il solaio pesava duemila
tonnellate – e disperdendo nell’aria enormi quantità di materiale radioattivo,
alimentate dal successivo incendio della grafite contenuta nel nucleo. Per
spegnere le fiamme i pompieri salirono sul tetto della centrale, dove i
roentgen erano 20mila. «Non più di due minuti» si raccomanda Maksim oggi,
25 anni dopo, per una quantità di raggi gamma milioni di volte inferiore
alla notte maledetta. Consapevoli che anche pochi secondi li avrebbero
condannati, i pompieri vinsero l’incendio evitando la fusione, e la
temuta esplosione nucleare, prima di andare a morire in un ospedale di Mosca.
Le polemiche sul nucleare civile rendono delicato il bilancio della tragedia:
secondo il rapporto del Chernobyl Forum le vittime dirette furono 68 e 4.000
quelle presunte per tumori e leucemie legate alle radiazioni. I Verdi
aumentano a 30-60 mila la stima delle vittime presunte, Greenpeace parla
di 6 milioni di morti nei settant’anni successivi al disastro. Chiusa dal
2000 e vigilata in attesa che un nuovo sarcofago sostituisca l’attuale,
questa centrale resterà per sempre nella memoria del mondo come Chernobyl,
dal nome del paese più vicino ai tempi in cui la sua costruzione venne deliberata.
Nel 1970, però, a tre chilometri da qui venne completata Pripjat, una
cittadina di 52mila abitanti destinata in gran parte ai lavoratori della
centrale e alle loro famiglie. Pripjat venne evacuata 36 ore dopo l’incidente.
«Pochi giorni e tornate a casa», così i militari rassicurarono donne
costernate e bambini impauriti. Venticinque anni dopo, Pripjat resta
la ghost town più estesa, impressionante, a suo modo suggestiva e
certamente triste del pianeta. Visitarla è un’esperienza forte,
possibile solo con una guida che – come in un campo minato – conosca
l’ubicazione delle sacche radioattive. Prima del ponte che introduce
alla città, per esempio, c’è la foresta rossa, un tratto di bosco
nel quale il cesio 137 resiste, dipingendo gli alberi di un’assurda
bellezza. «Pessimo posto per raccogliere funghi», scherza Maksim.
Disgelo
Cinquantaduemila abitanti: più o meno la taglia di Mantova o di Avellino.
Ecco, immaginate queste città a noi care abbandonate per 25 anni,
immaginatene gli edifici famosi, o quelli frequentati nella piccola
quotidianità, le scuole, la palestra, il supermercato, il municipio,
tutto deserto. Pripjat si sgretola in un silenzio irreale attraversato
dall’acqua del disgelo, un incessante sciogliersi dei tetti
ghiacciati – qui in inverno c’è un freddo serio – un furioso
colare di rivoli e torrentelli lungo le gronde bucate, le scale
pericolanti, gli infissi sbrecciati. Saliamo con la sincera
paura di un crollo i sei piani dell’hotel Polissia, l’albergo
della città, per scoprire che sull’attico è cresciuta una betulla.
Col vento gelido che passa attraverso finestre senza vetri – quasi
non esistono più i vetri, a Pripjat – la vista dall’antica sala
colazione ti prende alla gola: a sud c’è il reattore, a est il
fiume, a nord la foresta e tutto attorno la città morta, i
condomini alti e magri dell’architettura sovietica. La ruota
del lunapark allestito per la festa del Primo maggio 1986,
e ovviamente mai più rimossa, è il simbolo più sfruttato – persino in un videogioco – di Pripjat.
Animali
Fulminea, una lepre attraversa il nostro campo visivo.
Maksim racconta un paradosso: vietata agli uomini, la «zona» è diventata un’oasi
ecologica, e oltre ai microroentgen chi la percorre deve guardarsi da orsi e
lupi. La visita dura due ore, si resta lontani dal cimitero dove vennero sepolte
le scorie di grafite, il luogo più contaminato d’Europa; negli edifici in cui
entriamo la natura sta completando la sua rivincita, con alberi che penetrano
dalle finestre e il pericoloso muschio – trattiene le radiazioni – che pare
moquette stesa sull’umidità.
«In realtà nella zona vivono ancora 200 vecchi – rivela Maksim –. Sono
malati venuti a morire a casa, nessuno se l’è sentita di cacciarli.
Due volte alla settimana un camion porta le provviste, una volta al
mese un medico fa il giro per visitarli. Quattro abitano a Pripjat,
ma dai turisti non si fanno vedere». Lasciamo la città morta con la
sensazione di essere osservati.
Paolo Condò
[G.Sp. 15/3/2011]
fonte: cinquantamila.corriere.it

In Shadow of Chernobyl (SoC), primo capitolo di S.T.A.L.K.E.R.,
la centrale nucleare è la meta dell'avventura del protagonista, il
Marchiato. Tutte le leggende metropolitane, le
stranezze e i misteri della Zona potrebbero effettivamente avere una spiegazione ed essa
si troverebbe da qualche parte all'interno della NPP.
Insieme a Pripyat, l'area della centrale è forse
quella più accuratamente ricostruita e rappresentata, oltre ad essere la più pericolosa:
sconfinato l'ambiente esterno alla centrale, agghiacciante l'impatto visivo col sarcofago,
claustrofobico l'interno, inquietanti oltre ogni dire i segreti che essa custodisce.
Militari e Monolith presidiano l'ingresso della centrale e l'area circostante come e più
di quanto avremo visto a Pripyat, per cercare di mettere
sotto controllo la centrale gli uni e per proteggere i segreti in essa contenuti gli altri,
ma questa volta, oltre a proiettili, radiazioni e anomalie, dovremo vedercela anche contro
il tempo a causa di un'imminente "blowout" - un'emissione di energia concentrata e
incontrollata proveniente della centrale - che minaccia di travolgere il Marchiato e tutti
coloro che si lasceranno sorprendere allo scoperto. Faremo quindi bene a trovare in fretta
un ingresso e ad avventurarci all'interno della NPP senza voltarci indietro.
Nella maggior parte dei Megamod sviluppati dalla Community, le "emissioni" sono state
introdotte come evento casuale presente in tutta la zona ed è stato rimosso il "blowout"
fisso all'ingresso della NPP; inoltre le zone esterne alla Centrale sono state riviste e rese
maggiormente esplorabili.
Tutto questo al fine di offrire la possibilità di godersi maggiormente e più a lungo, ma non
per questo più facilmente, i dintorni della Centrale, la loro fedele ricostruzione e il
pathos intrinseco a uno dei momenti culminanti dell'interno gioco: l'ingresso nella Centrale!
Dentro la centrale non tutto è come sembra: angoscia, paranoia, allucinazioni, inquietanti
presenze, diaboliche creature e un esercito di Monolith ci attendono nello sprint finale
verso la risoluzione dei misteri della Zona e le risposte alle nostre domande: chi è Strelok?
Perchè il Marchiato deve ucciderlo? Cos'è, in realtà, la Zona? C'è qualcosa di vero nelle
leggende del folklore locale riguardanti l'"esauditore di desideri"? Cosa proteggono
i Monolith? Cosa si nasconde in prossimità del nocciolo del reattore n°4?
Avvenutratevi nella CNPP alla ricerca di queste risposte a vostro rischio e pericolo ma non
crediate che, nei Megamod in cui è presente il "Freeplay" - la possibilità di
continuare a giocare anche dopo aver terminato il gioco, continuando a esplorare liberamente
la Zona -, il ritorno verso Pripyat sia più tranquillo: tornare indietro ripercorrendo le
sinistre penombre dei corridoi del reattore n°4 rimane un'esperienza inquietante e i
pericoli non mancheranno di divenire manifesti nei momenti più inattesi.
E una volta tornati nelle porzioni pià esterne della Zona, magari nella relativa sicurezza
del Cordon, non esitate a rallegrarvi di essere sopravissuti, bevendo un po' di vodka al
tepore di un fuocherello improvvisato e ascoltando una ballata suonata con una chitarra
logora da un vostro compagno stalker. Solo, chiedetevi: "Ho fatto tutto quel che dovevo
fare in quella dannata Centrale oppure mi sono lasciato alle spalle qualcosa di incompiuto,
qualcosa di inesplorato, qualcosa di irrisolto?" Insomma, avete chiuso la partita con
la Zona o dovrete nuovamente incamminarvi verso nord per concludere quello che avete cominciato?
La centrale rappresenta la meta finale anche in
Clear Sky (CS), il secondo capitolo - che fa da prequel - nel quale,
interpretando il mercenario Sfregiato, avremo modo di
comprendere le circostante nelle quali il Marchiato si ritrova all'inizio di SoC. In
realtà in CS la centrale è molto meno interessante ed esplorabile rispetto a quanto visto
nel primo capitolo e l'intero livello è anzi molto frenetico da gestire e troppo rapido
da eseguire per reggere il confronto. Il filmato finale aggiunge un tassello al puzzle
della storia di Strelok e del suo gruppo ma anche questa volta gli interrogativi che rimangono sono tanti...
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